ATTO III, SCENA PRIMA
CONSIGLIER, CANDAULECON. Poi che l altezza vostra mi commanda
Ch i dica il mio parer, che non mi è parso
D espor nel suo consiglio à la presenza
De suoi giudici, quando ell ha proposto 1635
Di rifiutar la prima sposa, e torsi
Le seconda; il dirò. non perch io creda
Più saggio esser di lei, nè de suoi molti
Giudici, mal il dirò per ubbidirla.
Poi che forse in sua corte ella non haue 1640
Chi più la riuerisca, chi più l ami,
E chi stia de l honorsuo più geloso,
Di questo ueccho, le cui chiome, bianche
Sono assai men de la sua bianca fede.
Il dirò anchor per direl uer, di cui 1645
Si amico son, che tuttol sangue prima
Comporterò, che de le uene m esca,
Che m esca de la lingua una bugia.
(Se fuor de mio saper ciò non auuiene)
E tanto più, che so quanto inchinata 1650
A` seguir la ragion sia uostra Altezza.
Che mai (ch io sappia) opera fin qui non fece,
Che dal mondo, ò dal ciel meriti biasmo.
Ma se forse è pentita, e uuol, ch io taccia.
Tacerò ben. CAN. Di pur, che ascoltarti 1655
M è in ogni loco, e in ogni tempo caro.
CON. Io dico, sir, che, nè legge diuina,
Nè natural, nè humana ui consente
Lasciar la prima, e prender altra moglie.
CAN. Come non me l consente? non sai dunque, 1660
Se l repudio è concesso de le leggi?
CON. Molti errori permettono le leggi
Per ischisarne altri maggiori, e insieme
Accommodarsi à la durezza humana.
Non però, che n rigore, in conscienza 1665
Presso il sommo Rettor, che l tutto uede.
E de la intention giudica i falli,
L errore error non sia, s aggiunge à questo,
Che di quelle cagioni, onde l ripudio
Suol colorirsi, alcuna in uoi non cade. 1670
CAN. Non hai tu dunque la ragione udito,
Chelnel consiglio publico ho proposto,
Che steril sendo la mia prima sposa,
Io, perche resti un successor del Regno,
Vo mutar questa in sterile consorte? 1675
CON. L ho udita si. ma poi, con pace uostra
(Se pur debba seguir) non l ho approuata.
CAN. Per ritrar la tua mente, io ti richieggio.
Però quanto il cor chiude, apra la lingua.
CON. E se laltra Consorte steril anco 1680
Fosse, che fora? andar cosi mutando
Di tempo in tempo? ma se quei del Regno,
Cui, (non al Re) cotal pensier sourasta
Del nouo successor, cura non hanno,
Che tocca à uoi? mentre qua giù uiuete, 1685
Regnate uoi. dopo la morte uostra,
Habbia chi resterà peso del resto:
Se figli haurete, lor lasciate il Regno.
Quando no. che u importa? habbial chi uuole.
Ma se Dio solo è quel che presta, e nega 1690
A` maritatil bel don dea la prole;
E l giardino dou ella si matura
Rende à sua uoglia, ò sterile, ò fecondo;
Il cercar d hauer figli; e per hauerne
Il lasciar una, e prender altra moglie; 1695
Non è un opporsi, un gire incontro à Dio?
Oltra di ciò nel maritaggio uostro,
Non son passati anchor nè giunti gli anni,
Che à la sterilità, l esperienza
Prescriue; e dir non si può anchor, che debba 1700
Steril sempre restar la sposa uostra:
Più tardò la moglier di uostro zio
A deuenir feconda. hauete almeno
Voi altri un ben, che le infeconde mogli
Piu ufficiose, e men superbe sono. 1705
Nè prole hauendo, tra la qual si sparga
Laffettione, in uui tutta s aduna.
Ma, che sapte uoi quai figli habbiate
A` generare, ò generato haueste?
Forse materia di tormento eterno. 1710
O`quanto il buon Saturno, ò quanto il uecchio
Priamo, ò quanto Terèo, quanto Thieste,
Quand l uno scacciato era di seggio,
L altro uedea la bella Troia accesa,
Gli altri senthian l abominosa cena, 1715
Douean bramar con gran martir d hauere
Condotto dona, quale ha uostra altezza.
Se si hauessero à dar le mogli à proua;
O`la steriltà fosse peccato
Volontario; il ripudio approuerei. 1720
Ma poi, che l matrimonio è sacro, e santo;
E quei, che Dio congiunse, huom non po sciorre;
Nè per consiglio, nè per opra humana,
Senza il uoler celeste, fruttuoso
Può farsi il campo de la nostra uita; 1725
Qual ne dà moglie il ciel, tener debbiamo.
Ma chi ui accerta alfin, che à la mogliera
Non imputhiate il uostro sol difetto?
CAN. Che mio non è il difetto assai son certo.
CON. Poi che hauete cotesta esperienza, 1730
E già u ho colto al passo, ou io u attesi,
Temo ben, sir, che non pensier di Regno,
Ma daltra donna un nouo amor ui ponga
Nel cor coteste indegne, e iiugiuste uoglie.
Il che se è uer, sappiate, che ned ella 1735
Mogliera à uoi, nè uoi marito à lei,
Ma adulter ella, è adulter uoi sarete.
E à figli uostri d adulterio nati
La speme del Regnar troncata fia.
Onde adempir non si potrà il desire, 1740
Che mostrate, che resti herede al Regno.
CAN. I nostri consiglieri ad uno ad uno,
E tutti insieme con benigna, e giunta
Aura di uoci, e di consensi uniti
Secondan pur questa sentenza nostra. 1745
Perche tu sol la biasmi, e la condanni?
CON. Troppo libero è forza, ò poco saggio,
Che sia colui, che al suo signor ripugna.
I uostri consiglier ui lodan quello,
Che lodandoui san farui piacere, 1750
E facendo il contrario, addurui noia.
Ma io, cui zelo ardente ange del uero,
E de l honor di uostra Maestade,
Vo dirui il mio parer liberamente.
I uostri consiglieri approueranno 1755
A la uostra presenza il parer uostro,
Ma lontani, biasmandoui in occolto,
Diran tra lor quel, ch io ui dico in faccia.
Son tanti cuochi i uostri adulatori,
Che condisconi i cibi, al uostro gusto 1760
Grati, e spesso à lo stomaco dannosi.
Io, qual medico son, che medicine
Amare à ber, propitie à la saluti,
(Benche spiacer n habbiate) u apparecchio.
CAN. Se non potessi il Prencipe à suo senno 1765
Mouersi, e uscir da i ceppi de le leggi;
Ei non sarebbe Prencipe, ma seruo.
CON. Anzi il Segnor, che à senno suo trascorre,
E dal sentier declina de le leggi;
Non è Signor, ma de suoi uitii seruo. 1770
Signor è quel, che se medesmo prima,
Poscia i uassalli suoi modera e regge.
E quanto piu tien de potenza, tanto
Men di licenza à se stesso concede.
CAN. La mogliera ubbidir deue al marito. 1775
E douendo ubidir, deue fuggire
Dal letto marital, s egli il comanda.
CON. Confesso, che la moglie al suo marito
Deue ubbidire, e l seruo al suo signore.
Ma quando? quando son gli imperii giusti. 1780
CAN. Hor conchiudi, s à dire altro ti resta.
CON. Restami à dir, che uoi con la Reina
Faceste, e confermaste il maritaggio,
Il qual, come da Dio fu istituito,
Cosi è da lui guardato. e tosto, ò tardi, 1785
Chi rompe le sue leggi, acre gastiga.
E che la fede è una, e ad una data,
Non può ritorsi più per darsi à un altra.
Non u esca de la mente, inuitto Sire,
Che l huom del uolgo uil, non che l signore, 1790
Non dè poi disuoler, quel che pria uolsce:
Ricordateui, Sir, che à la Reina
Parte non manca d animo, ò di corpo,
Che à Reina eccellente si conuenga.
Che ell è qui peregrina, senza amici, 1795
Senza parenti, senza seui, senza
Pur un, che in così nouo, acerbo caso
L aiuti, la consigli, ò la conforti,
Se la mancate uoi sua speme sola.
Voi da la Regie sue paterno case, 1800
Dal grembo de la madre, de la braccia
Del padre, da l aspetto de fratelli,
Dal seruigio de serui, e de le ancille,
E de la dolce patria la traheste
Al Regno uostro, e prometteste à l hora 1805
Di uiuerui con lei fino à la morte,
Ella, ch è à India, di morir con uoi.
Nè (fuor, che troppo armaraui) alcuna colpa
Credo, ch ell habbia contra uoi commesso,
Animo hauete, e non ui scoppia il core?
Doue n andrà la misera, spogliata
Di compagnia, d honor, di stima, infame,
Addolorata, disperata, senza
Poter rimaritarsi, ò darsi morte, 1815
Se non uorrà col corpo uccider l alma?
Ma se l amor, se la beltà se tante
Egreie qualità de la Reina;
Se l conuersar non lei presso à sei anni,
Se la fede, se l debito, se l giusto 1820
Romper non può (che pur douria potero
Ciascun capo per se, non che in un tutti)
Cotesta uostra si indurata mente;
Romplana i merti sommi di suo padre,
Che già con tanto Amor, tanta pietade 1825
V accolse, fauorì, soccorse, e prese
Per suo genero à l hor, che da i parenti
Abbondanato, fuor del Regno uscito,
Pouero, e lasso riccoreste à lui.
E`cotesto il condegno guidarone, 1830
Che d un uostro si gran benefattore
U apparecchiate rendere a la figlia?
Si raro benefcio s appresenti
Dinanzi à gli occhi ogn hor di uostra Altezza.
Ah Sir, l ingratitudine è pur quella 1835
Che suol de la pietà seccar le fonti:
Mirate alfin, che per un uan desio,
Che per un gouanil folle appetito
Non accendiate una guerra importante,
Che ni dia più che far, che non uogliate. 1840
E color, che da giusto affetto mossi,
Vi poser già ne la paterna sede,
Tornino hor di giust odio concitati,
A`cacciaruene, a facciano uendetta
De la innocente lor cara sorella. 1845
CAN. Chi uolesse temer quanto auuenire
Può al mondo, mai non usciria ditema.
CON. Ma non ui par, chè Zoroastro, capo
De uostri precessor, fosse indouino.
Di cotesto pensiero, e s ingegnasse 1850
Tanti anni prima con tacita lingua
Da uoi leuarlo? a l hor, che pinger fece
Nel palagio Real da stigii spirti
Le donne Illustri, e gli huomini co i loro
Nomi, famiglie, patrie, uolti, e gesti, 1855
Che fiano in ogni tempo, e in ogni clima
(Fuor, che i Re, e le Reine Battriane,
I quai, non so perche, por non ui fece)
Doue tra laltre nobili pitture
Sapete esser dipinte le gran donne, 1860
Le quai (ben che infeconde) pur saranno
A`i lor maritioltra ogni creder grate.
Tra la quai quella u è, che uoi, & io
Mirar godendo, & ammirar sogliamo
Si pesso, la Illustrissima ALESSANDRA, 1865
Non di Bologna pur sua patria pregio,
Ma d Italia, d Europa, ò (come dice
Lo scritto suo) di questo ampio hemispero.
In matrimonio degnamente giunta
Al glorioso, e gran Caualier VOLTA. 1870
La qual, quantunque steril, da lo sposo
Fia sempre mai amata, ehauta cara
A` par di gli occhi proprii, à par de l alma.
Onde meriterà si bella coppia,
Che la consoli il ciel con duo frutti almi, 1875
Tanto eccellenti più, quanto più tardi.
ANTONIO lun, che innanzi tutti gli altri
N andrà de la sua patria, e à par del padre
Nel grado, ne la gloria, e ne costumi.
ORSINA l altra, uera Orsa celeste, 1880
(Che tramontar, che errar non deue mai)
D ogni bella uirtù, d ogni costume
Real, d ogni eccellenza, e d ogni honore.
CAN. Non accede allegar cotesti essempii.
Che la steril matrona fara tale, 1885
Tali, e tante saran le sue uirtuti.
Tal la bellezza sua, tali i costumi,
Che renderassi amabil fino à i marmi.
E sarà degna, à cui corone d altro,
Che d hedera, ò d allor, d argento, ò d oro 1890
Sian poste in capo. e sarà Illustre tanto,
Che fino i ciechi dal suo lume scorti
Moueran di lontano ad inchinarla.
CON. Io u ho detto signor quel, che mi pare.
Ma se tanto desio di prole hauete, 1895
(Che non basta al chirurgo aprir la piaga,
E trarne il sangue putrido, e purgarla,
Se non ui mette anchor l empiastro sopra)
Io ui darò un rimedio honesto, e grato.
La legge, che lasciar la steril Donna 1900
(Se la steriltà uien pur da lei)
Vi nega, ui da poi ben libertate.
(Ma però di consenso, econ licenza
De la moglier) di torui à uostra scelta
Una serua à uoi grata, di costumi 1905
Belli, d honesto, e mediocre stato,
De la qual generiate uno, ò duo figli,
(Che però dopi uoi regnar non ponno)
Poi di pari concordia con la moglie,
Come uostri alleuarli, maritando 1910
La CAN, sempre poi fida al marito.
CAN. Con diligente essamina più adago
Dentro uentilerò le tue ragioni.
Ma leuianci di quì, che la donzella
Veggio più cara, e fida à Berenice. 1915
Che forse ha adito la proposta mia,
E manda à me costei, ma non uo udirla.
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ATTO III, SCENA ii
DAMIGELLA solaCome difficilmente si nasconde
Fiamma rinchiusa, che la luce, ò l fume
Col lampo, ò col uapor non ne dia segno; 1920
Cosi possiam difficilmente l ira
Celar, che non si legga ne la faccia.
Studiasi con ogni arte la Reina
Nostra, non so per qual cagione irata,
Sotto cener di pace, e d allegrezza 1925
La fauille coprir d un nouo sdegno.
Ma per solenne studio, che u adopri
Far non può già, che quel premuto ardore
Non isfauille fuor per gli occhi à forza.
Ella hora à le finestre, hora à la porta 1930
Mi manda a riueder, se di lontano
Venire il secretario del Re ueggio.
Ne l ho potuto ancho ueder. Ma ecco,
Ch ei uiene, e con lui uiene una matrona
Con duo fanciulli quinci, e quindi à mano 1935
Seguìta da gran turba di donzelle.
Chi puot esser costei? sia chi si uoglia.
Noi per saper l altrui, che non ci gioua,
Non debbiamo obliar l ufficio nostro.
Uo, che da me prima, che d altri, intenda 1940
Questa uenuta la Reina mia.
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ATTO III, SCENA iii
DALIDA, SECRETARIO, FANCIULLODAL. Ecco, ch io scopro homai d appressio gli alti
Edificii del mio natal terreno,
Contesimi da gli arbori, e da i monti.
Ecco le altere, e minacciose torri, 1945
Lunga fatica di molti anni, e molti
Sudate da i Ciclopi, e da Uulcano.
Le sacre case de paterni Dei,
Le uie, i colossi, le piazze, e le loggie.
Il Battrio hor ueggio, il qual parte la Battri- 1950
ana terra per mezo à la cittade,
Quasi contemplator di queste mura
Per taciturne uie, gir cheto cheto,
Chinando l capo, al grand arco del ponte,
Che la seura città coniunge in uno: 1955
Ecco l palagio sospirato tanto,
Doue già il Re mio padre al tempo lieto,
(O` amara, ò lacrimosa rimembrenza)
E temere, e tremar si facea intorno.
SEC. Ah signora, che hauete? che ui affanna? 1960
E da qual noua, & improuisa nube
In cosi certo, e limpido sereno
Si spreme à forza la pioggia del pianto,
Che tacita ui riga il uiso, e l seno?
DAL. Ahimè, che dal mirar le Regie mura 1965
Rinouata mi sento la memoria
De granparenti mei, che chieggion forse
Da la lor poco ubbidiente figlia
Le giuste pene, e sopra lei uendetta
Far, che farla di lor potè, e non uolse. 1970
SEC. Merauigliomi ben del uostro senno:
Hor che à l aer natio, che al dolce aspetto
Del nido amato, à cui già sete in braccio,
Vi doureste mostrar tutta gioiosa;
E tanto più, che le speranze uostre 1975
Riedono à uoi di ricco frutto carche;
Andate le mestitie ricordando.
DAL. Deh, che (s io uo pur dire il mio secreto)
Portano i piè tuttauia innanzi il corpo,
Et à dietro i pensier tirano il core. 1980
L occhio ua innanzi, e l accomagna il piede,
Ma la mie mente à dietro si riuolge.
E son qual naue, che à ualor di remi
Poggiar si sforzi incontro à l acqua, e al uento.
SEC. Di che temete uoi signora? DAL. Temo, 1985
Temo, e non so di che, ma temo male.
SEC. E qual cagione à tal timor u induce?
DAL. Non la so dir, ma par, che m indouini
Vn mal graue, propinquo, e occolto i core.
E questo indouinar conferma un sogno, 1990
Che fra i confini del dì, e de la notte,
Da me partito il mio Signore à pena,
Sta mane m apportò languido sonno.
SEC. E che sogno sinistro fu cotesto?
DAL. Pareami che un Astor, lasciato à uolo 1995
Dal signor suo, uenia uer me battendo
L ali, e tal mi facea plauso d intorno,
Ch io per suoi vezzi, e per diletto mio
Il capo humile, e mesto alzaua in alto.
E nel alzarlo mi parea ue dere, 2005
E subito auuiarmi à un bel giardino
Di lieti fior, di cari frutti ricco.
E mentre incompagnia del grato augello
I giua à cor le nobili ricchezze
Del fortunato, e gratioso sito; 2010
Pareami d incappare in una rete
Tra i fiori, e l herbe, ch io premea, nascosa
O`di ferro, ò d acciar, (ch io non so bene)
La più artificiosa, e meglio ordita,
Che fabricasse mai Vulcano in Etna. 2015
E che una alpestra, & arrabbiata Tigre
D una macchia scagliatasi con furia,
Questi duo figli, ahimè, queste due luci
De gli occhi mei mi strappaua dal grembo
Stracciandoli con l unghie à brano à brano, 2020
E del suo sangue colorando l herbe,
Anchor che di camparli io mi sforzassi.
Poi mi parea, che la medesma Tigre
Contra me s auuentaua. ond io leuai
Si alto grido, che à quel suon mi scosi. 2025
SEC. Dunque uoi sete anchor di quelle sciocche,
Da cui si presta à tai schiocchezze fede?
DAL. I sogni ancho altre uolte hebbero effetto.
SEC. Si dileguan col sonno, e con la notte.
DAL. Ma, che uuol dire un batter cosi spesso 2030
Di cor? che uuol significar, che l passo
Fermo à gran pena in terra, e sembro quello,
Che la uia tenta con piè incerto sopra
Lastricato sentier di ghiaccio liscio?
Dalida, torna indietro, indietro torna, 2035
Dalida. senti il tremor freddo, e uago,
Che per l ossa discorre, e più le chiome
Ti far arricciar, quanto più innanzi i uai.
Torna à l antico tuo seluaggio albergo,
A` la tua prima uita. e con speme 2040
Di più acquistar, non perder quel, ch hor hai.
SEC. Credo ben, che diciate hor da douero.
Ma non hauete mille uolte chiesto
A` li Dei un tal giorno, in cui Candaule
Fuor ui trahesse de l aspro diserto, 2045
Ne la uostra città u introducesse,
Quì ui sposasse con nozze solenni,
E nel seggio real ui collocasse,
Facendoui adorar da tutta Battra?
Ecco uenuto il desiato giorno. 2050
Hor di che u affligete? il Re Candaule,
E la sua madre gia fatta contenta,
Anzi di ueder uoi del Re più uaga,
Mi mandato à chiamarui, e quì condurui
A gran fretta, apparecciano le nozze, 2055
E con festa u aspettano. e stupisco,
Che à incontrarui non uengano per uia.
DAL. E ciò mi fa temer. che n si bel fine
Di si lungo desio, piacer non sento.
FAN. Madre? DAL. Che uuoi figliuol? FAN. Perche mouete 2060
Si fiacca il passo, e sospendete il piede?
Non gite uolentiere al padre nostro?
Mi par già de uederlo tutto lieto
Venirne incontra con le braccia aperte.
Non uolegte menarne al nostro bene?
DAL. Uoglia Dio, che per uoi questo sia bene. 2065
Non so ciò che mi uogla. e son à essempio
Di chi temendo d hauere smarrito
Il camino, si ferma, e sta pensando
S ei segua auanti, ò se pur torni indietro.
FAN. Andiamo, cara madre, al padre nostro. 2070
Hor non uedete tante belle cose,
Che più non sono state da noi viste?
Vogliam tornare à cosi brutti lochi?
DAL. Io non ui sarò scorta, ma compagna.
FAN. Madre? DAL. Figliuol? FAN. che arbori son quelli? 2075
DAL. Son di questa città gli alti stendardi.
FAN. Perche parlate cosi sospirando,
Madre mia? Madre, ahimè, perche piangere?
DAL. Piango, perche non posso far dimeno.
SEC. Venite, madre, lieta al padre caro, 2080
Che ne darà mille pregiati doni:
Conforta anchora tu, cara sorella,
Nostra madre, ò piangiamo ambo con lei.
DAL. O` uere, ò uerdi, ò uiue mie radici,
Anzi, ò mei dolci insieme, e acerbi frutti, 2085
Io ui uo compiacer. ma uoglio prima
Baciarui. ò dolei labra, sa Dio solo
Se più ui bacierò, figli mei cari.
Dio sa, se haurò più d; abbracciarui copia.
Pur che uiuiate uoi, mora pur io. 2090
FAN. Nostro Signor da ciò ui guardi, madre.
DAL. Deh rimoui la man, deh non far proua
D asciugar le mie lagrime, figliuolo.
Che n maggiore abondanza uscir le fai.
SEC. Io resto ben attonito, Signora, 2095
Di si gran nouità. ma ecco à punto
Su la porta la madre di Candaule,
Che allegra, per raccoglierui u aspetta:
Andianle incontro, serenate il uiso,
E dimostrate ogni humiltà con lei. 2100
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ATTO III, SCENA iv
BERENICE, SECRETARIO, DALIDABER. Esco fuor per ueder se uenir ueggio
La dolce Nora mia, la mia figlioula.
Che non ueggio quel punto benedetto,
Chio l accolga, e l abbracci. SEC. Udite quanta
Gioia del uenir uostro ha la Reina. 2105
BER. Ma ecco ch ella uiene, e à man conduce,
(Stando in mezo di lor) credo, i suoi figli.
SEC. Signora, questa è l alta Nora uostra,
Che u ha da rallegrar. Questi i Nipoti
Figli del figlio uostro. e si dan tutti 2110
Di uostra Maestà serui, e prigioni.
BER. Et io, di ciò lietissima, gli accetto.
Sia giocondo, figliuola, il uenir uostro.
Quanto male ha commessio il Re mio figlio
A` non farmi saper da prima il tutto, 2115
Chè a l hor questo medesmo fatto haurei.
Non piangete, che ben ui sarà tempo
Di palesarmi le allegrezze uostre,
Voglioui allegra non ui uoglio afflitta.
Entrate col piè destro nel pelagio, 2120
Che u aspetta per darui i premi degni
De uirtuosi portamenti uostri.
Quiui l opre accopiando à le parole,
Meglio ui mostrerò l animo mio.
Non prò Candaule star, che anch ei non uenga 2125
Per far con uoi il marital conuito,
Di uoi trarsi, e d figli il suo digiuno,
Che un dì che non ui ueggia, un anno ei conta.
Ma uo che ornata, e concia in altra giusa
Ui ueggia, che cosi non mi piacete. 2130
Prima ch ei uenga à ritrouarne, io stessa
Vo porui di mia man lo scettro in mano.
A` cotesto gentile, ignudo collo
La à uoi douuta, e non à me catena,
E d oro coronar cotesto capo: 2135
E uoi diletti Nipotini mei
Leuateui à baciar l Auola uostra.
O` come par, che mi conoscan questi,
Si mi stringono al collo, e fanno uezzi.
O` come in questi duo me stessa ueggio. 2140
Non so se piu uorrò rendergli à uoi.
DAL. Signora mia, mIa Suocera, e mia madre,
(Che nessun di tai nomi a uoi sconuiensi)
Di tanta cortesia gratie condegne
Io render non ui posso in altro modo, 2145
Che in affermar, che render non le posso.
E me medesma, e questi parti mei
Dono liberamente in poter uostro.
BER. Uoi ne potete far ciò che ui piace.
Andiam, ch io ui uo trar le indegne uesti, 2150
E di manto di porpora uestirui.
Poi per far sacrificio à sommi Dei,
(Chi porgerete uoi, figliuola, preghi)
Vcciderem le pecore, e gli agnelli.
E mentre cocerem le carni loro, 2155
Verrà Candaule, à cui le prime par
Come à sposo, & à Re serbar faremo.
SEC. Entrate, e ricordateui, signora,
Del guider don promessomi da uoi,
Se tosto u adducea la Nora uostra. 2160
BER. Entra tu anchor, che la promessa è ferma.
SEC. Il Consiglier del Re uien uerso noi
Forse à ueder se anchor giunt è la sposa.
BER. Non uo, che anchor l oda Candaule. Entriamo.
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ATTO III, SCENA v
CONSIGLIER soloE gli è pur uer, che la più cruda fiera 2165
Fra i seluaggi animali è il maldicente,
Fra il domestici poi l Adulatore.
Questi non drizza ad altro oggetto gli occhi,
Che à mirare, in qual parte il signor pieghi,
Non già per sostenerlo, che non cada, 2170
Ma per dargli la spinta, onde più tosto,
E n precipitio uia maggior trabocchi.
E perche men s accorga del periglio,
Di gratissime fila innanzi gli occhi
Sottilissimo uel li uiene ordendo. 2175
E perche à solleuarsi mai non pensi,
Di piuma leue, e di bambagio molle
Sotto gli stende in diletteuol letto.
Egli aerra, e ne l error gli altri conferma.
Di finte lodi artefice eccellente 2180
Con magnifica tromba il tutto approua.
E con cetra non mai discorde molce
Le troppo del signor credule orecchie
E di quel dolce, intorbidato uino
(Spremuto de la lingua fraudolente, 2185
Eatto di glorie indegne, è approue ingiuste)
Di cui bibaci sono, ebrè le rende.
De le uirtuti i nomi à i uitii pone.
E, qual l ombra s accorda in ogni gesto
Al corpo, ei si conforma al suo signore, 2190
Sopra cui uersa gran pioggia di mele,
Ma mel, che mista tien tenace cera.
Qual meretrice alfin, che al signor suo
Brama ogni ben, fuor che la mente saggia.
O` infame adulation, tu pur la peste 2195
Sei d ogni corte. sei pure il ueleno
Giocondo, che rispinto, anchor diletti.
Rifiutato più uolte, alfin sei preso,
Anzi colui, da cui se preso, prendi,
E le menti de Prencipi auueleni. 2200
Tu de la corti in bando eterno spingi
La uerità paurosa, e la rileghi
Ne le più tenebrose,interne grotte.
Tu sei un oglio, per aggiunger forza,
Sopra non bene accesa fiamma sparso. 2205
O` cieca ambition, che credi à gli altri
Di te più, che à te stessa, se ti prende
La praua adulation, non farne scusa.
Che al suo, quantunque assai tenace, uischo 2210
Preso alcun non è mai, se non chi uuole.
Rinchiuder conuerria gli occhi, e gli orecci,
Quale il prouido Perseo, e l cauto Ulisse
A` la piaceuol faccia di Medusa,
E al soaue cantar de le Sirene. 2215
Ma questo è il mal, che à la sue glorie, l alma
Dentro gode, se ben fuor le refiuta,
E di giusto rossor la faccia tinge,
E la fallaci lode, come l sangue
Caldo de gli animai, che han tal uirtute, 2220
Spezzan del uero il rigido diamante:
O`sfortunati Prencipi, dinanzi
A` cui la uerità uenir non osa.
E se pur uuol uenirui, con mill arti
L hoste de le bugie le dà la caccia. 2225
Lasciate alzarui à le losinghe, insani.
L or, che ne la fornace ascende in alto,
E l riprouato, e n fume si dilegua.
La polue, che leuar si lascia al uento
A`uolo uà, poi nel profondo cade: 2230
Ui fidate di quei, che accordan sempre
Al uoler uostro il lor, pur l augel deue
Guardarsi à l hor, che meglio ode imitata
Da infido uccellator la uoce sua.
Amate le losinghe, e non sapete, 2235
Che à l hor lisciam la groppa, il collo, e l petto
Al corsier, che uogliàm mettergli il freno.
La dolcezza del mele, in troppa copia
Gustata, addoglia, e lo stomaco offende.
Il dolce inebria, il uino aspro non mai: 2240
Quando il chirurgo più frega l infermo,
A`pungerlo, e à ferirlo s apparecchia.
Poi quando il fere, e punge, uuol sanarlo.
Quello è il Consiglier falso, questo è il uero.
Aspra è la uerità, la bugia dolce: 2245
Quella al sale s uguaglia, al mele questa.
Quinci gli Dei ne sacrificii loro
Han riprouato il mel, gradito il sale.
Sua non è piu la fiera, ch è già presa
Per gli orecchi da i cani, anzi è legata. 2250
Di duo non so qual più felice stimi,
Chi schernir non si lascia, ò chi non scherne.
So ben, che è meglio abbatersi ne corbi,
I quai cauan col rostro gli occhi a morti,
Che ne profani, e flsi adulatori, 2255
Che acciecan col mentir la uista a uiui.
E che del losinghier la lingua noce
Più, che la man del fier nemico armato.
Poi che questo, biasmando, ne corregge,
Quel, lodando, nel uitio ogn hor ne lega. 2260
Da questo ci guardiàm, crediamo à quello.
Questi Consiglier falsi,uenditori
Di fume, che la lingua da la mente,
E l uolto dal uolere han più diuerso,
Che da lanotte il dì, da l ombra il Sole; 2265
Questi Polipi uarii, ch ogni punto
Cangian color; questi scorpioni rei,
Che palpano, e poi mordon con la coda;
Hanno sempre del Re l orrechio, e l core.
Dispensano gli ufficii, e i magistrati, 2270
E le suppliche segnan di lor mano.
E chi adular non sa, non può, ò non uuole,
E` stimato superbo, ò inuidioso,
E sempre in sorte humìl negletto giace:
Questi consiglier falsi, questi occiali 2275
Torti del signor nostro, ond ei trauede,
Gli hanno fermato, e forse posto in mente
Questo parer, da cui forse era lungi.
Che fuor d ogni douer, contra ogni legge
Ei deue,e puote (e pur non può, nè deue) 2280
Scacciar la prima, e sposar altra donna.
E perche con bugie gli applaudon sempre.
Vengon dal Re con lieto uiso accolti,
E con lui dentro à parlamento hor sono.
Io, perche dico il uer, dal Re guatato 2285
Son di mal occhio, e son gittato hor fuori,
E credo, chodio occulto ei me ne porti:
Ma succede che uuol, questa mia lingua
Non soffrirà giamai, che la Giustitia
Resti calcata, e dirà sempre il uero. 2290
Già senza colpa esser non può colui,
Che tacendo, à la colpa altrui consente.
Pecce tanto colui, che l uero asconde,
Quanto quasi colui, che l falso dice.
Poi che se noce l un, l altro non gioua: 2295
Ma ecco il Re (ò guai à chi n è auttore)
Di quanto sdegno auampa. io uo ritrarmi.
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ATTO III, SCENA VI
CANDAULE, CONSIGLIERECAN. O`fede, oue ti troui? in qual riposto
Angolo de la terra, in qual profondo
Letto del mare, in che ciel sei nascosa, 2300
Che ricercare, e ritrouar ti possa?
CON. O` graue, ò grande sdegno il Re perturba.
Quasi il fa uscir di se medesmo fuori.
Io non uo gire à lui, nè oppormi à questo,
Primiero impeto suo (se non mi chiede) 2305
Che se l raggio del Sole in duro oggetto
S incontra, onde riceua resistenza,
L ardor ristesso accoglie, e più s infiamma.
CAN. Di chi fidarmi debbo più? del zio?
Se lzio con ingiustissima rapina 2310
Vuol usurparsi il mo paterno regno?
Di chi fidarmi debbo più? del padre?
Se l padre anch ei mi spoglia de lo stato,
Per farne possessore il suo germano?
Di chi debbo fidarmi? di quei serui, 2315
Che mi paion tra gli altri piu fedeli?
E chi fedel più mi parea di quello,
C hor con si brutta, e dishonesta uece
Mi ricambia gli honori, e i benefici,
Che da me del continuo ha riccuto? 2320
Di chi debbo fidarmi? dichi haurebbe
Ad esser più leal di tutto l resto,
S hora m inganna, e de l inganno gode?
Hor non debbo firarmi di nessuno.
CON. L oltraggio riceuto è un gran tiranno. 2325
CAN. Ma ueggio à tempo il Consiglier. te solo
Volea à punto, e non altri. CON. Eccomi, Sire.
Che uuol da me l Altezza uostra? CAN. Voglio
(Leuateui di qui uoi altri tutti)
Che oda il più raro, il maggior tradimento, 2330
Che forse udissi à la tua uita mai.
E uo, che di tua bocca hoggi confessi,
E per non mai disdirtene conchiuda,
Che non fù, che non è, che mai non fia
Honestà tra le donne sen in finta. 2335
E ch ogni donna alfin, d un occhio solo
S appaga meglio, che du un sol marito.
CON. Deh non tagli cosi la falce ogni herba.
Ma (uolendo) spianate, che è cotesto.
CAN. La moglie mia (la qual (quantunque io hauessi 2340
Proposto, per disio d hauer figliuoli
Legitimi, di far d essa rifiuto)
Era però da me credulo amata
Quanto moglie, ò sorella amar si possa,
E tenuta in quel grado, ch ella merta, 2345
Anzi, ch ella non merta; costei dico,
Che monstraua di dar legge à Diana,
E che poco anzi tu mi commendaui
Per cosi affettionata, & io l credeua;
Ha mostro ad ambo duo, quant era falso 2350
Nostro pensier, rompendomi la fede,
E senza hauer riguardo al grado suo,
A i fratelli, a marito, à l honestade,
Il casto genial letto macciando.
CON. Ohimè, che intendo? CAN. Intendi à punto il uero. 2355
CON. E chi è stato colui di tanto ardire,
Chè sia con lei concorso à tanto oltraggio?
CAN. Colui, che men douea, colui, ch io haurei
Creduto men, che tu men forse credi.
Il nostro fido secretario, quello 2360
Da me honorato, e fauorito tanto,
Di cui non hauea alcun più caro in corte,
A cui fidaua ogni mia cosa in mano,
Da cui men, che da ogni altro anchor nemico,
Io doueua aspettar simil mercede. 2365
CON. E chi u apporta un cosi certo auiso?
CAN. L antica mia fedel, saggia nutrice,
Che per gouerno a l impudica diedi,
Che nel più alto palco de pelagio,
Doue tutt hoggi è stata sola, e intenta, 2370
A`certi occolti sacrificii suoi,
Non si apponendo alcun doue fosse ita,
Trouandosi hora; gli hà ueduti insieme,
Senza ch ella da alcun sia stata uista.
E per le stanze occolte è à me uenuta 2375
Ratto à farmi saper quanto io ti dico:
Quando sperato io hauessi anchora insieme
Corli; e fossi potuto andarui solo;
Nè le serue di lei temuto hauesi,
Che, uistomi lontan, fossero corse 2380
A`rapportarlie il mio uenir; nè in somma
Temuto hauessi, che una subit ira
Mi hauesse tratto fuor del segno; io stesso
Ito sarei la doue à si gran poste
Si giocca del mio honor. CON. Fu buon consiglio. 2385
CAN. Ma ti prometto ben, ma ben ti giuro,
Ch io uò, che qualche tragico scrittore
Ne i secoli auuenir ponga in iscena
Vna noua Tragedia in sù l essempio,
Che al mondo io lascierò de la uendetta. 2390
Pure inanzi ch io faccia algtrò disegno,
Libero intender uoglio il tuo parere,
Che uerace, e fedel conobbi sempre.
CON. Quanto possa doler, duolmi l oltraggio
Fattoui da color, ch l douean meno. 2395
E se l sangue, ch io serro in queste uene
Fosse buono à lauar cotesta macchia,
I sarei pronto à spargerlo. ma poi
Che non si puote; e uostra altezza intanto
Mi chiede il mio parer, non come a saggio, 2400
Ma ben come à fedel debbo ubbidirla:
La mia sentenza, Sire, innanzi ogni altra
Cosa, è, che uoi da uoi scacciate ogn ira,
La qual turba dal fondo insino al sommo
Il giudicio, e n maggior tempesta il moue, 2405
Che duo contrarii, e feri uenti il mare.
Tra il forsennato, e l adirato, è sola
Differenza di tempo. che quel sempre
Perseura, questo à tempo si rauede.
E dal fin de lo sdegno il pentimento 2410
Principio prende, e come à l hor, che scossa
Da non ueduta man la terra trema,
Rade uolte spirar fresca aura senti;
Cosi nel cor mosso da sdegno, rade
Volte giustitia temperata spira. 2415
CAN. Dunque io par, che ingiuria cosi atroce
Non sia possente à far nascer lo sdegno,
Se mai nato non fosse? non hà ogni huomo
L ira? e se questa ingiuria non l accende
In me, qual altra uuoi, che ue l accenda? 2420
Il sommo padre Gioue anch ei s adira,
E uibra contra noi le suie saette.
CON. Pose Natura in noi certo il fucile
De l ira. e chi non s alterasse à i primi
Moti, si mostreria di senso priuo. 2425
Ma come è proprio di Natura, l ira
Mouer, proprio è cosi de la ragione,
Quetarla, anzi se l huom non si turbasse,
Non potremmo conoscer la prudenza
Poi di fermar quei turbamenti primi. 2430
Ma come, chi si adira, human si mostra,
Cosi quanto più tosto poi si scopre.
CAN. Non che un Re com io son, (che come deue
Esser più riuerito e più temuto,
Cosi più ad ogni ingiuria si risente) 2435
Ma qual de la più uile ignobil plebbe
Ritroueresti, che à si graue oltraggio,
Che arreca de l honor perdita certa,
E de la uita anchor dubbioso stato,
Non uscisse da i termini, facendo 2440
Sopra l infido seruo, e la rea donna,
Crudele, anzi giustissima uendetta?
CON. Per questo à punto, Sir, perche Re sete
Ui consigio à scombrar da uoi lo sdegno,
Che come in grado, in habito, in potenza 2445
Cli altri auanzate, così in intelleto
(Che in ogni sua attion matura, e graue
Prudenza serbi, e presti à gli altri essempio)
Li douete auanzar. Se ui fù gloria
Lo hauer già tanti ualorosi uinto, 2450
Hor uoi stesso, di tanti uincitore
Vincendo, maggior gloria acquisterete.
L ira è un passion, che si fà seruo
L animo. in questa seruitù non cada
Reale altezza, in tal foco non arda 2455
Di real maestate un cor diuino.
De la fiamma, che abbrucia, quale, e quanta
Sia, non curiàm, ma sol de la materia
Abbruciata, s è uile, ò pretiosa.
Nè ui crediate alfin, che a uoi si spetti 2460
Far la uendetta. poiche non potete
Essere insieme uoi giudice, e parte.
Giustificar la uostra causa, à uoi
Conuiene, a uostri consiglieri il resto.
CAN. Hor fa stima, che m habbiano i tuoi detti 2465
Spinto dal, core ogni concetto sdegno,
E segui in dimostrarmi il tuo consiglio.
CON. Molte son le miserie de mortali,
Contra i cui tutti spessi colpi, à l huomo
(Che nome d huomo ueramente merti) 2470
Farsi conuien de la uirtute scudo.
Hora per ritrouar questa materia,
Onde u armiate subito, lasciando
Altri lochi ricchissimi, giremo;
De gli altrui pari essempii à la fucina. 2475
Perche (quatunque sia di biasmo degna
Arte d inuidioso, ò di maligno
De la suenture altrui prendar diletto)
Pur da gli essempii altrui prendiamo luce,
Nè l prenderla sconuiene, anzi rileua. 2480
Recateui per questo innanzi gli occhi
Tanti possenti, e generosi regi,
Le cui consorti adultere sprezzaro.
La fede marital, bruttar l honore.
Con costor consigliateui, non meco, 2485
Che non con le parole, ma con l opre
Da uoi non punto differenti in grado,
Vi mostreran qual debba darsi pena
Da l huom prudente à la impudica sposa.
Ecco Minosse inuitto Re di Creta, 2490
E giudice implacabile d Inferno,
Di che supplicio parui, ch ei punisca
La mogliera, che à lui prepone un toro,
E d ambo confodendo il giunto seme,
Concipe la biforme, indegna prole? 2495
Eccoui Menelao d un Re fratello,
Che non pur non offende la rea donna,
Ma tutta Grecia moue, arma, e conduce
A racquistarla, e racquistata poi,
Più cara assai, che per l adietro tienla. 2500
Ecco Theseo, che Fedra non afflige,
E Tolomeo, che non la infida moglie
Dissimulando, chiude gli occhi, e tace.
CAN. Come gli oltraggi lor s habbian sofferto
|Gli altri,non so. so ben, che l mio mi preme, 2505
Nè premerebbe si, quando à me uguale
Fosse almeno colui, c hoggi m offende.
Mi colma il duolo il suo tant esser uile,
Onde contr esso, e i discendenti suoi
Ogni uendetta fia uile, e leggiera, 2510
Nè tal, che paghi pur picciola parte
Di tanta colpa contra un Re commessa:
Dunque un uil seruo, una sprezzata donna
Hebber si poca tema, hebber si poca
Riuerenza à la regia maestade? 2515
CON. Deh, Sir, uolgete gli occhi a le donzelle,
Con uoto si tenace à Uesta sacre,
Che dourebbon menar celesta uita.
Pur nè queste, nè i loro amanti sono
Da l alta riuerenza di quel nume, 2520
O` dal terror de la prescritta pena
Si spauentati (anchor che i sacrilegi
Non possano celarsi à gli occhi eterni)
Che non ardiscan profanar la pura,
E diuina honestà sposata al cielo. 2525
Ricordiamoci appresso, che souente
Un d un altro adultero è giusta pena,
Mentre colpa con colpa si ribatte.
E però discorriam tacitamente,
Gli interni testimonii essaminando 2530
Al proprio tribunal, se mai commesso
Habbiamo contra alcuno, onde siam degni,
Che alcuno hor paghi noi d ingiuria pari.
Perche ingiusto è lo sdegno di colui,
Che si sdegnapater quel, che già fece. 2535
Ma quel, che altrui facciam, d altri debbiamo
Con ragione aspettar, ne fare altrui
Quel, che à noi fatto ne parrebbe graue.
Questa legge è si giusta, che li ingiusti
Anchora son constretti ad approuarla. 2540
Ma noi licentiosi, e arditi troppo,
Il dritto e l torto confondendo in uno,
Altrui seueri, à noi stessi pietosi,
Ingiustissimi giudici ogn hor siamo.
Miriamo anchor, se à romper fummo i primi 2545
La fe data, e douuta à le consorti.
Perche uogliàm riscoter de la mogli
Souente quel, che lor mai non prestammo?
A noi stessi perdòn facil donando,
A` gli altrui falli agro supplicio diamo. 2550
E à noi medesmi permettendo il tutto,
E l tutto altrui negando, dar sentenza,
Impudici uogliàm di pudicitia.
E sciolti da tutte le leggi trarsi
Lasciamo à de nostre sfrenate uoglie. 2555
Ma se la donna pure un occhio gira,
Subito d adulterio è fatta rea.
Quasi che maggior se debba al marito
Seruar la moglie, che l marito à lei.
L amor, la fede, il debito in bilancia 2560
Pari fra i maritati ha da pesarsi.
Ma per contrario auuien, che essempio, è scorta
Siam noi à le mal opre de le mogli.
Et indi tutto l mal principio piglia,
Donde più tosto hauer douea rimedio. 2565
De la donne è l honor proprio, il confesso,
Ma de gli huomini propria è la prudenza
Si chi ogni error ne l huomo è assai più graue,
Come in quel, che dourebbe esser più saggio.
Però conchiudo, che pietà, riguardo, 2570
Memoria, de la propria conscienza
Si dè seruar ne la presente causa.
Ma chi sa, che l ripudio hoggi proposto
Da uoi, non habbia indotto la Reina
A far proua s è uostro, ò suo il difetto? 2575
Pur dentro à tanti mali eccoui un bene,
Eccoui aperta una bramato tanto.
Hor con la legge in man giudicheranno
I uostri consiglier, che habbiate à farlo.
CAN. Dunque ti par, che questa infamia nostra 2580
Porre al giudicio, e publicar si debba?
CON. Come d altrui uirtù uenir ben puote
E gioia, e utilità; dolore, e danno
Può ben uenir, ma non infamia mai.
Ma quanto al publicar di questo eccesso; 2585
Io dico, Sir, che uoi uolete farne
Vendetta, ò no. se farla non uolete,
Concordi siam, che stia la ingiuria ascosa.
Pazzo colui, che ingiurie di tal sorte
(Potendole celar) publica al mondo. 2590
Ma se uolete far uendetta, è forza.
Signor, che questa sia publica, ò occolta.
Se occolta è la uendetta, già uendetta
Non sarà. uendicato io non mi tengo,
Se colui, sopra il qual la pena cade, 2595
Non sa donde, e perche tal pena uenga.
A uoi loda, à rei pena, à gli altri essempio
Non porterà. Se anchor sarà secreta,
Voi non potrete far (come douete,
E la giustitia in ogni causa uuole) 2600
Proua d intender prima à punto il uero.
Se la uendetta è publica, conuiene
Che si sappia, ò non sappia la cagione.
Se non si sà, diran tutti à una uoce,
Che per fare il diuortio, e per poterui 2605
Rimaritar, su la innocente donna
Habbiate cotal biasmo indotto, e finto.
Se la cagion saprasti, non fia meglio,
Non fia più uostro honor, più infamia loro,
Che dal consiglio uniuersal di Battra 2610
Siano i nocenti giudicati, e uoi
Stiate da parte, e come Re prudente,
Figlio de la ragion, Signor de l ira,
Col Re d India, col Ciel, con tutto l mondo
Giustificato ad aspettar sediate, 2615
Che ui sia in màn l occasione offerta
Del ripudio, e che siate astretto ti farlo?
CAN. Tocca à l offeso uendicarsi, tocca
Al Re solo punir tutti i nocenti.
E mentre che l giudicio si fornisce, 2620
Vorresti, che gli adulteri, seguendo
D Egisto, e Clitennestra il noto essempio,
Leuasser sè di tema, e me di uita?
CON. Uoglio, Signor, che d ambo ui guardiate,
Anzi guardia facciate ad ambo porre. 2625
E che in tanto il Re d India n habbia auuiso,
E la risposta sua si chieggia, e aspetti.
E in questo mezo sopra tutto parmi,
Che si debba cercar secretamente
E con ogni possibil diligenza 2630
Di risaper la ueritade intera.
Però, che l saggio Re prestàr ben deue
Presta udienza, e facle, ma poi
Difficile dee dar credenza, e tarda.
CAN. Hora tu anchor ti accerterai del uero. 2635
Ecco là il Secretario, che ne uiene
Fuor del profano, e perfido ricetto,
Tutto uago. facciam, che non ci ueggia.
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ATTO III, SCENA vii
SECRETARIO, CANDAULE, CONSIGLIERESEC. O` lucente, ò beato, ò caro giorno,
Il più chiaro di quanti mai uist habbia. 2640
Ogni anno tornerai per me festiuo.
CAN. Non lodar mai il di fino a la sera.
SEC. Ben ti posso notar, con note d oro,
O`con la pietra candida di creta.
CAN. Col carbone potrai forse notarlo. 2645
SEC. Hor, che non m ode, è non mi uede alcuno
Posso sfogar l intrinseca allegrezza,
Che rinciusa nel cor mi affogherebbe.
CAN. Il t assicurerò da cotal morte.
SEC. Chi più felice, in aria, in acqua, in terra 2650
Hoggi uiue, ò uiurà di mi giamai?
CAN. La morte fa giudicio de la uita.
SEC. D altro non temo, che di questo solo.
Che di si alta mia felicitade
Inuidia tutto l mondo non mi porti. 2655
CAN. Io uò leuarti di cotesta tema.
SEC. Chi crederia, che per finir la uita
In ganta gioia, e far la gioia eterna,
E da noie auuenir sempre secura;
Prenderei lieto adhor adhor la morte? 2660
CAN. Non ti affannar, che tu sarai seruito.
SEC. O`Vener, se di te giama mi dolsi,
D essermene doluto hora mi doglio,
E da qui innanzi per mia Dea ti eleggo.
CAN. Uenere in mezo l marnacque di sangue. 2665
SEC. Amor, io, che bramai sciorre i tuoi lacci,
Hor ti prego, signor, che mentre io uiuo
Mi tenghi auuinto ne le tue catere.
CAN. Mancando Amor, ti essaudiremo noi.
SEC. A mille à mille, Amor, fiocca i tuoi strali 2670
Sopra l mio cor, che la cagione il merta.
CAN. Hor commutan gli strali Amore, e Morte.
SEC. Cor mio, che agn hor di tenebre copperto
Giacesti, sorgi, e l tuo buio rischiara
Di tanti gioia al fortunato lampo. 2675
CAN. Seguita il lampo il folgore poi subito.
SEC. S alcunmi domandasse hora, d ond esco,
Potrei dirli d uscir del Paradiso.
CAN. E di douer passar tosto à l inferno.
SEC. Leuati pur di testa la ghirlanda 2680
Gradita, ò forte Alcide, e à me la poni.
Che l uigilante, & ustinato Drago
Hò addormentato, e preso, e l auree pome
Dal giardin de la hesperidi hò spicatto.
CAN. Il pomo in altra lingua è detto male. 2685
SEC. Son giacciunto fra i gigli, e tra le rose.
CAN. Forse tra chiodi, e spine hor giacerai.
SEC. O`come spesso temea l cor, che in acqua
Io non mi risoluessi al gran diletto,
E teme anchora, onde si spesso fere. 2690
CAN. Mal più propinquo, e maggior teme forse.
SEC. O`quante uolte hò chiesto à gli occhi, e à gli altri
Sensi mei s io sognaua, ò s era desto.
CAN. Ti farò ben sentir, se fiano sogni.
O`quanta inuidia in quel gioioso stato, 2695
Degli inesti mi hà tocco, i quai, poi ch una
Uolta inestati, e collegati foro,
Sempre poi stan con intessute fronde
Nel uecchio, innamorato, humido ceppo.
CAN. Già non ti mancheran per hoggi ceppi. 2700
SEC. Fortuna, hor che nel crin presa ui tengo,
Si impresse io stringerò le man, che dubbio
Non haurò mai de la ceruice calua.
CAN. Vi lascierai le man giunte à la chiome.
SEC. Tu, perche mi abbandoni al maggior huopo, 2705
Lingua, e si mal la mia letitia narri,
E per souer chia piena ti confondi?
CAN. Io le darò le meritata pena.
SEC. Occhi mei, ringratiatemi, che quanta
Gloria si può mirar, mirar ui hò fatto. 2710
CAN. Si getteran per ringratiarti, à terra.
SEC. Ma se dir debbo il uero, io non uorrei
Le man più in cosa oprar terrena, e uile,
Nè la lingua, nè gli occhi, che pur hora
Vengono di si alto e gentil loco. 2715
CAN. Cotesto tuo desir sarà adempito.
SEC. Vna perseueranza in somma, un fermo
Proposito in Amore ogni dur rompe.
Io hauea meco proposto d altra donna
Mai non amar, che la Reina mia. 2720
Hor uinco, e cambio ugual da lei riporto.
CAN. Che ti par consiglier? sei anchor chiaro?
SEC. Un si pieno, e si stabile possesso
Pres ho di lei, che perder più no l posso.
CAN. Hai più da dubitar rifugio alcuno? 2725
SEC. Ma in tanto al Re non uado, e non lo inuito
Si come imposto m ha la mia Reina.
CAN. Entriamo dentro, e fingeremo poi
D uscir la prima uolta. SEC. Io temo, ch egli
Non mi riprenda, che questo uiaggio 2730
Con troppo lenti passi habbia fornito.
Ma comparir di fuoriil ueggio à tempo:
Signor, dopo dimora lunga (certo,
Oltra ogni mia credenza, ma sforzato,
Per la cagion, che poi farò palese) 2735
Eccomi giunto dal uiaggio, doue
Mi mandò uostra Altezza, & ho espedito
Con diligenza quanto ella m impose.
Riserirò; quando le piaccia, il tutto,
E le consegnerò quanto riporto. 2740
CAN. Entra ne le mie stanze, e là mi aspetta,
Dou io raccoglierò quanto facesti.
SEC. Signor, mentr io uenia m è uscita incontro
La donzella maggior de la Reina,
E detto mi ha, che sua signora prega, 2745
Quanto possa pregar l Altezza uostra
Che, i negocii del Regno intermettendo,
E de graui pensier l arco alletando,
D esser suo conuitato hoggi si degni,
E questa sera andarne à un suo conuito, 2750
Ch ell ordina magnifico in memoria,
Che hoggi è il suo di natale, e che per quanto
Portate amore à lei, port ella à uoi,
Non uogliate negarle questa gratia.
CAN. Io andrò. ma tu ua prima ou io t ho detto. 2755
SEC. Vado. CAN. Va pur, che non ne uscirai forse
Si tosto, come credi, e tu lo segui,
E à mio nome comanda à mei ministri
Che tutti in punto stian presso le porte
De le mie stanze, mentre anch io là uengo 2760
A far, che tosto il reo si prenda, e leghi.
CON. Io uò, signor, ma pria ch i uada, uoglio
Far quel, che à fedel seruo si conuiene.
Consigliarui, pregarui, comandarui
(S io potessi) à schifare, ad abhorrire 2765
Il fallace conuito. Deh mirate,
Che questa à uoi non sia cena mortale.
CAN. Uà pur, ch io bene haurò cura del tutto.
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ATTO III, SCENA viii
CANDAULE soloIl consiglier, com huomo antico, e auuezzo.
Ne ciuili giudicii popolari, 2770
La medisma stampa oprar uorebbe
Ne le cause reali, e non s accorge,
Che son d altra grandezza, e d altro peso.
Nè libelli, nè termini, nè leggi
Si ricercano à queste, ma senz altro 2775
Indugio, ò proua han da condursi al fine.
Però dapoi che si opportuna, presta,
E bella occasion mi porge il cielo,
Anzi mi uien da se medesma incontro,
Non uo lasciare uscirmela di mano. 2780
Poiche chi ha tempo, e tempo aspetta, il perde.
A rei dar non uo spatio, ond habbian agio
Di fabbricar le contramine, e farmi
In fallo riuscir tutti i disegni.
Non commettere altrui quel, che tu proprio 2785
Puoi per te stesso. io non uo, ch altri faccia
La mia uendetta. al digiun poco gioua,
Che sieda à ricca mensa altri per lui,
Io non ueggio animal grande, ò minuto,
Che per uendetta mai ricorra ad altri. 2790
Fin le pecchie, le uespe, e le formiche
Contra ogni fiera, e sia quanto uuol forte,
Fan per se stesse le uendette loro.
Che aspetteranno hor l Aquile, e i Leoni?
S al giudicio ordinario il Re si stesse, 2795
Tra la real corona, e l popol basso,
Qual differenza fora? à questi casi,
Che frangono, e calpestano le leggi,
Più, che à gli scettri, à i manti, à i diademi
Si conoscono i Re da lor uassalli. 2800
Andrò al conuito, oue inuitato sono,
Senza sdegno mostrar, portando in testa
D auuelenate rose un corona.
E (come s usa) postala nel uasa,
Doue berrà colei, che à morir danno 2805
(Perche men sia il romor, celato il biasmo,
Nè la donna di ciò sospetto prenda,
Come in ogni altra guisa prenderebbe)
A la femina rea la farò bere.
Vsando in ciò pietà (benche punirla 2810
D altra morte dourei) quando anch io sono
Macciato de l error, che n lei punisco.
Da lei non credo hauer cagion di tema,
(Quantunque il consiglier si mi spauenti)
Prima, perche una guasta conscienza 2815
Dal proprio fallo oppressa, e uergognata,
Ogni arroganza, ogni superbia inchina.
Poi, perche à molti ualidi argomenti
IO conchiudo, che questi, anchor che infido,
Mosso à colei non habbia anchor parola 2820
Di Dalida, e de figli. il romor prima
Fora salito già fino à le stelle.
Poi, hauendo costui tanti anni chiuso
In silentio fedel questo secreto,
Sarà gran merauiglia, che à punto hoggi 2825
L habbia scoperto, e s ei non l hà fin hoggi
Detto; & ella non l ha fin hoggi inteso;
So certo, che ned egli di più dirlo,
Nè di più risaperlo ella haurà tempo.
Ma s egli hà pur di ciò parola mosso, 2830
Il saprò, come à le mie stanze torno.
Che di tormenti non è specie alcuna,
Ch io non faccia adoprar contra l iniquo.
E à forza di supplicii horrendi, e strani
Ei mi confesserà, quanto mai fece. 2835
Se l ripudio, ch io tento ha forse inteso
Colei, non è però la cagion tale,
Ch ella meco adirar punto si debba,
Anzi dè hauerne tacito diletto.
Che da me rifiutata, al nouo amore 2840
Dar si potrà piu facilmente in preda.
Ma se pur contra noi machina forse
La iniqua donna; deue per compagno
Hauer preso ladultero, e n lui posto
La maggior sua speranza, & egli deue 2845
Hauer promesso à lei presto ritorno.
Questo maggior soccorso hora l è tolto,
Che a lui fian chiusi d ogni parte i passi,
E non si riuedran mai più tra loro.
Ma quando pur la scelerata donna 2850
Da se sola il uelen mi tempri in questo
Conuito, oue chiamato son (che d altro
Io non debbo temer) da mei scudieri
Farò por su la mensa gli alicorni,
E toccar sempre i cibi, onde securo 2855
Sederò da le insidie del ueleno.
Ma perche l mio rimedio poi non turbi
Lo mio inganno; al leuarsi de le prime
Mense farò leuarne gli alicorni,
E più non gusterò uiuanda alcuna. 2860
L l hor farò portarmi la corona
De mortiferi fiori. onde conchiudo,
Che s ella à punto la medesma fraude
Non trama contra me, ch io contra lei;
Io d altro inganno pauentar non debbo. 2865
Ma perche questa morte di ueleno
Troppo soaue à la impudica fora,
Io uorrò poi, che al fin de la rea cena
La sia recato innanzi gli occhi il capo
Di colui, che fù capo al suo disnore [dishonore ?], 2870
Et al mio insieme, alfin capo al suo danno.
Di doppia morte à l hor morrà costei,
Com è ben degna. e tu, Dalida mia,
Co figliuoli entrerai nel uoto letto,
E cosi in lunga pace uiueremo. 2875
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CHORO O` de gelosi affaticate menti,
In cui tanti pensier fremon, rompendo
Con orgogliosi strepiti, & insani
Quant onde tra le sirti anguste, ardenti,
O` là ue l atra Scilla sta mordendo 2880
Cinta di ciechi, & affamati cani.
Gli altri in un sol pensier si stan pendendo,
Ma i costor petti son fatti torrenti
Di dolor rei, precipitosi, e strani.
Nè tai l inuitto Alcide hebbe saette 2885
Di lerneo sangue infette,
Quai hà la gelosia spietati denti.
O` uita de gelosi acerba, è dura,
Peggior di quella, che n buia prigione
Menano i serui ladri, e micidiali. 2890
A`i costor piè s appende con misura
Il ferro, al cor di quei, carco si pone
Di cure smisurate, e d aspri mali.
Costor, menire che l sonno li compone,
Oblian la trista lor disauentura. 2895
Ma da la soma de pensier mortali,
Che sempre in se geloso petto uolue,
Col sonno nol risolue
Notte freda, e turbata, ò fresca, e pura.
Tenta il geloso, duro, e uano effetto 2900
Por leggi à i piedi, à gli occhi uaghi, e incerti
Et à le man de la persona amata.
Vuol con la uista penetrarle il petto,
E i suoi pensier mirar chiari, & aperti,
E lalma incatenar, libera nata: 2905
Statuti uuol preseriuer fermi, e certi
Ad ogni opra, ad ogni atto, e à ciascun detto.
Oltra, che di conforto gli è troncata
Ogni speranxza. poi che questo male
E`lungo, od è mortale. 2910
Lana tinta, il color non hà più schetto.
De la terra, e del chiel le strade insieme
Vuol chiuder con auuisi incauti, e stolti,
A` i presti augelli, e à le importune fiere,
E sopra tutti poi gli huomini teme, 2915
E teme de li Dei gli inganni occolti.
Nè i corpi chiusi, e stretti ritenere
La gioua. poscia, che gli animi sciolti
Nè da prigion, nè da distanze estreme,
Nè da mar, nè da monti contenere 2920
Si ponno, nè da marmi, nè da reti,
Nè da ferme pareti,
Che non corran dou è la loro speme.
Nè può al geloso alcuna esperienza
Torre l pensier, che l turba, e che l tempesta. 2925
Che, se colei, di cui ha gelosia,
Li par, che lieta rida in sua presenza,
Crede, che però mostri quella festa,
Perche di suo pensier già cauta sia.
S ella sospira d altra parte mesta, 2930
Crede, che altroue pensi. se accoglienza
Trista li fà, crede, che lui già oblia.
Se troppo cari uezzi ella li face,
Li tien cosa fallace,
E tira il tutto in pessima sentenza. 2935
La servitù col premio si fà lieta,
Gli sdegni col perdòn, con l amor l ire,
Col tornar le distanze, e le partite,
La crudeltà con la pietà si cheta,
Con la dolcezza le ripulse dire, 2940
E d Amor l altre pene aspre infinite
Col dilettoso, e prospero gioire.
Sol hà la gelosia si fier pianeta,
Che incurabili son le sue ferite.
Da questo morbo pessimo, infernale, 2945
Dio, guarda ogni mortale,
E pieghiti à pietà la nostra pieta.
Atto IV