ATTO II, SCENA i
CANDAULE RE, SECRETARIO

CAN. Piglia. quest’ è la lettera, che dei 435
Dalida portar. quest’ è la chiaue
Pretiosa, ch’ io serbo, e c’ hor ti fido.
D’ ogni tesoro mio fedel custode,
Cui sotto si rinchiude ogni mio bene,
Hai de la stanza mia preso lo specchio, 440
Ch’ io t’ ordinai? SEC. Eccolo. CAN. E anchor cotesto
Le rendi, chi’ io so ben quant’ ella il brama.
SEC. Io andrò, signore, e à lei in propria mano
Il tutto renderò, c’ hora riceuo:
O` come uuol merauigliarsi, quando 445
Iui me sol riueggia, e più stupire,
Che uostra altezza, che non lei è stata
Questa notte; e se n’ è partita à l’ alba;
Trouato habbia da scriuerle sì tosto:
CAN. Va. che cotesta lettera non puote 450
Esserle se non grata. e forse importa
Più, che non credi. SEC. Io non uo saper altro.
Chi al signor suo uuol compiacer, non deue
Altro mirar, che’ l compiacerlo solo.
Per certezza maggior, non saria male, 455
Se mi desse’ l suo anel l’ altezza uostra,
In fede, che da lei mandato io sono.
CAN. Non sa Dalida dunque se tu solo
Di gli amor nostri il secretario sei?
SEC. Gli è uer. ma questo la fara più cauta. 460
Che tarde à creder son le donne sagge.
E tanto più, ch’ ella non ha ueduto
Lettere scritte anchor di uostra mano.
CAN. S’ è cosi; ecco l’ anel. prendilo, e i passi
Comincia ad affrettar felicemente. 470
E se giamai in cosa in te riposta
Ti demonstrasti tacito, e fedele;
In quella fede, in quel silentio, in cui
Perseurato hai gia più di cinque anni,
Perseura anchor ti prego, fa, che alcuno 475
Non odamai questai mia gran uentura.
Ma supra tutti la consorte mia.
SEC. Ah signor mio, che dice vostra Altezza?
Si poca fede ha dunque à la mia fede?
E donde hor nasce in lei nouellamente 480
Si disusato, e subito suspetto?
CAN. Io non so quale spirto à ciò mi spinga,
Pur te’ n prego, e riprego mille uolte.
Poi premio alto n’ aspetta, e ti ricorda,
Che chi fida il secreto, fida il core, 485
Nè del cor maggior cosa può fidarsi.
SEC. Creda il secreto suo detto à un pietra.
CAN. E anchor si trouan de le pietre infami,
Che fan palesi molte cose occulte.
SEC. Creda dunque d’ hauerlo detto à un muto. 490
CAN. E i muti ponno riuelar con cenni.
SEC. Creda dunque d’ hauerlo detto ad uno,
Che s’ apparecchi à ber l’ onda lethea.
CAN. E s’ à l’ onda lethea ber t’ apparecchi,
Dunque ti scorderai questi mei preghi, 495
Con ch’ io ti prego, che’ l silentio serbi.
Ma so, che’ l serberai. Ua dunque, e bacia
Con la mia bocca, ò col mio affetto alment
I duo mei frutti, e mei cari bambini.
E dì à la madre poi, che lor non lasci 500
Cosa alcuna mancar, nè à diligenza
Perdoni in allevarli, che ancho spero,
Di questo scettro mio uedergli heredi.
E ch’ io tonerò tosto à riuederla.
Ma, che non uo predirle il dì prefisso, 505
Perche non ponga più quell’ alte cene.
Poi, ch’ io non uoglio cibo altro, che lei,
Altro, che quelle delicate membra,
E que’ mei dolci, e teneri fanciulli:
Di, ch’ io le mando il desiato specchio, 510
Doue mirando le sue gran bellezze
Di se stessa pigliar possa diletto,
E me lodar del buon giudicio mio.
Benche mal uolentieri io glie lo mandi,
Temendo, che uedendosi si bella, 515
Non si renda dipoi uer me superba.
Anzi pur uolentier lo specchio mio
Mando à lei, non hauendone io bisogno,
Ch’ altro specchio, che lei, non chieggio in terra.
Ma, che se’ l cor mandarle io poi potessi, 520
Più uera ci uedrin la propria imago.
E doue tu sarai, Candaule augura.
SEC. Con diligenza essequirassi il tutto.
CAN. Entrar ro nel consiglio. SEC. Et io in camino. 

 ATTO II, SCENA ii
SECRETARIO solo

Besso, puoi ben risoluerti hoggimai, 525
Che l’ oracol non è punto mendace:
De la tua forte domandato Apollo
Rispose, che le man tronche, la lingua
Suelta, e tratti doueano esserti gli occi.
Non è la profetta compita à punto? 530
Non hai tronche le man, Besso infelice,
Se ti senti mancar, come lucerna
Debile, à cui il nutrimento scemi,
Nè ti puoi aiutar, quantunque appresso
Habbi l’ aiuto? Non se senza lingua, 535
Quando di palesar non sei ardito
La mortal passion, che dentro serri,
E quella interna tua fervida fiamma,
Che come uerde tronco ti distrugge?
Non sei, misero te, peggio, che cieco, 540
Se uedi’ l precipitio, e non lo schiui?
S’ hauesse aggiunto anchor, che l’ intelletto
Perder doueui, sarebbe anco uero.
Deh Besso, che uuoi far? che fin, che mezo
Vuoi tu sperar di si sublime amore? 545
Uuoi senza speme amar? non sai, che amore
Senza speranza, è un’ edificio greue
Senza sostegno? Io so. ma, ohimè, che quanto
Manca la speme piu, piu’ desio cresce.
Come d’ amar costei posso ritrarmi? 550
Costei, ch’ è tutta gratia, ch’ e una pasta
Di cortesia, costei, che è il uero essempio
De la beltade, e’ l proprio unico uaso
Di quante serba Amor care dolcezze?
Ch’ e tutta leggiadria, senza la quale 555
Non è leggiadria al mondo, e da cui prende
Ogni altra leggiadria cognome, e forma?
Come non amerò quei uaghi lumi,
Che aperti à meza notte apportan giorno,
E chiusi à mezo giorno apportan notte? 560
Perche non mirerò quel chiaro uiso,
Che fa guerra à le stelle, inuidia al Sole?
Non nasce l’ huom per contemplar il cielo?
Vn ciel non è la sua celeste faccia?
Dunque io non seruirò col cor, con l’ opre 565
In uita, in morte, in sepoltura quella,
Che giunta à si bel corpo ha si bell’ alma,
Cui seruir denno e gli huomini, e gli Dei?
Deh non nutrir de le tue legna il foco.
Non t’ accorgi, meschin, che cotai lodi 570
De la tua donna da te ricordate,
Son tanti sproni, che accendono al corso
Il corsier lido per aperti spatii?
Hor l’ altra faccia de la carta uolgi:
Come in amar costei uuoi tu seguire, 575
Costei, che è del tuo Re l’ egregia moglie,
D’ un altro figlia, ae d’ un’ altro sorella,
Ch’ è la tua uenerabile Reina,
Che ha il corpo amabil si, ma il cor pudico?
Tu, che sei nato in si humil fortuna 580
Rispetto à lei, che sei si può dir seruo
Di nessun pregio, e di nessun ualore?
Reggi, reggi il desio mal regolato,
Riprendi, tristo te, la tua schiocchezza.
Apri gli occhi, e al tuo stato li conuerti. 585
Del tuo ardir folle pentiti, e conosci
D’ hauer troppo altamente il cor locato.
Puoi creder dunque, che l’ alta Reina
Di Battra, moglie del gran Re Candaule,
Da genti innumerabili inchinata, 590
Cinta di tante nobili Donzelle,
Non men piena d’ honor, che di beltade,
Di tutti gli occhi de la terra oggetto,
La qual non degneria pur di mirarti,
Che mille può trouar di te più degni, 595
Cui non se’ degno di toccar la uesta,
Discenda tanto, che piegar si lasci
Contra l’ honesto, il debito, il decoro,
A` contentar te uile, ignobil, seruo
Di cosi irragioneuole appetito? 600
Ma mi risponderai, ch’ altre Reine
A` tuoi eguali, e anchor di te minori
A` simil gratie far si son condotte.
Cotesto è uer. concedolo. ma auuiene,
Quando la donna da se stessa elegge, 605
Benche’ l più de le uolte elegga il peggio:
Ma mi replicherai, che un prego caldo,
Una seruitù lunga, un Amor uera,
Vna sincera, e taciturna fede
Sogliono humiliare un core speso. 610
Sì, ma non quale è quel di costei, ch’ ami,
Di formidabil pudicitia armato,
Che desta, l’ honor suo guarda, e difende.
Ma mi soggiungerai tosto, che quella
Che anchor non fu da alcun pregata, anchora 615
De la sua castita proua non fece.
E che la tua Reina hor è nel fiore
De la sua etade, e’ n su’ l più uerde Maggio
De le bellezze. e che i fiumi, e la fiamme
Giunti in maggior concordia, e maggior pace 620
Stan, che la pudicitia, e la beltade:
E il rispetto, che dei al tuo signore,
Che t’ ama, che t’ honora, e gioua, e crede?
Da lui, prendo l’ essempio. ach’ egli è amante
Di Dalida, che punto di bellezza 620
Non ha, rispetto à la sua prima sposa,
Che sprezzata da lui, merita, ch’ io l’ ami:
Non ti mette la infamia almen terrore,
Che di te lascierai presso le genti?
Qual’ util, qual piacer troui nel mondo 625
Di ualor si eccellente, che si debba
Comprar col prezzo de la fama buona?
Senza questa, che uale ogni altro bene?
O` Amor, che strana uoglia ti è uenuta.
Deh leua questo periglioso strale. 630
Deh spengi, Amor, questo inconcesso adore.
Ahimè, che punto rallentar no’ l sento,
Anzi hoggi in maggior forza si rinforza:
Vadane’ l tutto. io da qui innanzi ho fermo
Di pormi à freno sciolto in auentura. 635
Dunque conuien, ch’ io m’ impecci gli orecci,
Mi bendi gli occhi, e calchi sotto i piedi
E la fama, e la fede, e l’ honestade,
E le leggi, che Amor cosi commanda.
Amor, che uince imperioso il tutto: 640
Conuien dunque, ch’ io m’ apra, ò dritta, ò torte,
O`publica, ò secreta, ò piana, od erta,
O`lecita, ò non lecita una uia
Da poter disfogar questo desire.
Io la penso, io la cerco. Questa alquanto 645
Può parer buona. Eh no. quest’ è migliore.
Non è uer. Non ti mouer pur di passo.
Attienti à questa, anzi à quell’ altra torna.
Quella uuol troppo tempo, e questa ingegno.
L’ altra porria sortir, ma è perigliosa. 650
Si bene. Eh no. si pur. ben? non succede.
Le lettere porrian capitar male.
Non uorrà il Re, ch’ io la conduca in India.
Non le potrò parlar per le sue donne.
E`uer. che farai dunque? Eccone un’ altra. 655
La statura del Re troppo è diuersa.
Se non hauesse quella tema sola
Fora questa più facile, e più corta.
Io l’ ho trouata. S’ io le parlo, e scopro
A` faccia il tradimento del marito; 660
E la fè, c’ hai promesso al Re pur dianzi?
E`che anchor non promessa osseruar Dei,
E che osseruata hai fino à questo punto?
Fede à sua posta, in fondo à Lethe caggia.
L’ huomo è obligato prima à se medesmo. 665
S’ io le parlo in secreto; e scopro il tutto;
L’ accendo à la uendetta; indi le espongo
Con pietosa efficacia i prehi mei;
Desterò forse tal pensero in ella,
Che ageuolmente, ageuolmente, e certo 670
Mi potrà riuscir quel, ch’ io disegno.
Deh caccia uia l’ empio appetito, e uano,
E ua doue ti manda il tuo Signore.
Che troppo lungamente homai ragioni.
L’ alterno consultar cosi ricerta: 675
O`Dio, che’ l mal quando col ben combatte,
Per lo più uincitore in campo resta.
Ecco il mio chiaro Sol, la mia Reina
Apparir sù la porta. Hor’ è ben tratto
Del buon pensier. Ben’ è impossibil’ hora 680
Di più restarsi al fren de la ragione.
Sento ritrarmi à doppia forza in dietro.
unque uo girne à lei, segua, che uoglia. 

ATTO II, SCENA iii
SECRETARIO, BERENICE REINA, CHORO

SEC. Siate, Reina, eternamente salua.
BER. A`te sia pace, e ogni desir succeda. 685
SEC. Chi fa l’ augurio, anchor puo dargli effetto.
BER. Che dici?
SEC. Io dico, che ciò sia in effetto.
BER. Che annuncio adduce il Secretario nostro?
E che fa’ l mio signor?
SEC. Quand’ io riceua
Da uoi la fè, che in un silentio eterno 690
Terrete quanto ui dirò sepolto;
Io ui paleserò cose importanti.
BER. Io te’ l prometto.
SEC. E che sicuro pegno
SEC ne uolete dar? BER. Questa mia destra.
SEC. Et io bacio, ò bella, e sacra mano, 695
Man, ch’ ogni mia salute in te rinchiudi,
Non mi fallir de la credenza mia.
BER. Non tardar, ch’ io non son per mai mancarti.
SEC. Sacra Reina, quel cortese affetto,
Che di zelo di uoi l’ alma mi accende, 700
Hoggi fa uscirmi da l’ ufficio mio.
Ma gli elementi, il ciel chiamo, e li Dei
In testimonio, che’ l mio ufficio in questo
Io non debbo osseruar molto, nè poco.
So ben, che quando ciò uenisse in luce, 705
S’ espedirian per me supplicii graui.
Ma non posso temer, sendo coperto
Dal forte scudo de la uostra fede.
E quando questo anchor si risapesse,
Ma fia dolce’ l morir per amor uostro. 710
Besso’ , che tenti far? frena la lingua.
Meglio fia in uer, ch’ io taccia, e me ne uada.
BER. O`fa non hauer detto ciò, c’ hai detto
O`segui quel, che à dirmi incominiciasti,
Che di ritrarti ogni speranza è indarno. 715
SEC. Signora, io credo, che serbiate in mente,
Come Battro del uostro sposo padre,
E Re di questo Battriano Regno,
Giunto per trappassar ne l’ altra uita,
Conoscendo Candaule suo figliuolo 720
Le puerili man non hauer atte
Al gran maneggio anchor d’ un tanto Impero;
Nè Moleonte hauere herede alcuno;
Giunto à donna, che chiuso il uentre hauea;
A` Moleonte suo fratello, e zio 725
Del fanciullo, commise il nobil carco.
Ch’ ei lo reggesse. e poi quando Candaule
Fosse cresciuto à conuenueuol tempo
D’ amministrarlo, gli cedesse il seggio.
BER. Perche à la moglie non lascio il gouerno? 730
SEC. Perc’ hauria offeso il popolo, e’ l fratello.
Promise’ l traditor di Moleonte.
E poi, che Battro più aggrauando il male
Dal carcere mortal partita fece,
Entrò in possesso stabile del Regno. 735
E adescato da l’ esca de le regie
Grandezze; e hauendo hauto già una figlia
Da la sposa, che sterile era prima,
Quando’ l fanciuollo fu arriuato à gli anni,
Che poteano regnar meglio di lui; 740
Non pur non si pensaua Moleonte
Render l’ honor già debito à Candaule,
Ma s’ adopraua anchor, che’ l giouanetto
Non apprendesse alcuna nobil’ arte.
E non tutor, ma Re facea chiamarsi, 745
A` sè donando il Regno, e à sua figliuola.
BER. Perche non fece uccidere il fanciullo,
O in forte guardia custodirlo almanco?
SEC. Il tumulto del popol li fu freno.
BER. E come partori la steril poi? 750
SEC. L’ Influsso, ò buono, ò rio non dura sempre.
BER. Ma, che fu de la madre di Candaule?
SEC. Da Moleonte su posta in prigione,
Doue al fin de la guerra la trouammo
Consumata da doglia, e da disagio. 755
BER. E’ l popol non prendea di ciò sospetto?
SEC. Finsero, che per doglia del marito,
Ella si stesse in tenebre rinchiusa.
BER. Il mio signor non domandò la madre?
SEC. La domandò, ma non potè ottenere 760
Fuor, che di fuellarle, onde Candaule
Da questo sdegno,da l’ ardente spirto,
E da i conforti de’ maggiori amici
Eccitato, fuggendo in India uenne.
BER. Perche tanta al fuggir dimora fece? 765
SEC. Dietro à gli anni ne uien l’ ardire, e’ l senno.
Là mè condusse, e pochi altri con lui
A` quella uenerabile memoria
Del padre uostro à l’ hor gran Re de gli Indi.
E à racquistar l’ heredità paterna 770
Supplicemente li richiese aiuto.
Il padre uostro, com’ era cortese,
A lui, de la paterna hereditate,
E da la propria patria anchor bandito,
Misero, peregin, supplice, e nudo, 775
Non pur gagliarde, & aiutrici squadre.
Ma uoi sua figlia anchor per cara sposa
Promise, e le promesse hebbero effetto.
Al giouaneto sè sposarui prima.
Poi con hoste fortissimo mandollo 780
A`cacciar Moleonto fuor del nido,
Che cosi indegnamente ei ritenea.
BER. Che non fè Moleonte con mio padre,
Ch’ ei negasse al nipote ogni soccorso?
SEC. La propria conscienza il reo spauenta. 785
Nè sappiam ritrouar colori, od ombre,
Da colorire, ò ombrar domande ingiuste.
Nè gratia ingiusta à giusto Re si chiede.
BER. Merauigliomi assai, come mio padre
Si facil si rendesse à l’ hora à farmi 790
D’ un peregrin disheredato sposa.
SEC.Quest’ opulento, e bellicoso Regno,
Le ragioni giustisssime, che sopra
Vi hauea Candaule, i Battriani fidi
Al giouanetto, i quai di giorno in giorno 795
Batteuano con lettre, che solo
Ei scoprisse le insegne, e poi lasciasse
La cura lor del rimanente; fero,
Che per genero il prese il padre uostro.
BER. Merauigliomi anchor, che Moleonte 800
Non prendesse per genero il nipote.
SEC. Al parentado forse hebbe riguardo.
BER. Già non mirano il Greci à questi gradi.
SEC. E noi da Greci siam diuersi in questo.
O`desio di regnar forse il ritenne, 805
Temendo, che’ l nipote, e la figliuola
Giunti, non gli leuassero di mano
Lo scettro, ch’ ei stringea si altero, e lieto
O`d’ accoppiarla à un altro Re sperando,
E cosi assicurarsi il suo possesso, 810
E à la figlia apprestar duo Regni insieme.
BER. Perche non fer tra lor le nozze i figli?
SEC. Perche fu loro il poter farle tolto.
Anzi sotto custodia si ristretta
Seruò la figlia Moleonte, ch’ ella 815
Nè la zia, nè’ l cugin uide giamai.
BER. Al tuo primo soggeto hor ti ritorna.
SEC. Moleonte sentendo con quai forze
Se gli auuentaua il suo Nipote à dosso;
Altri che questa figlia non hauendo, 820
Non anchor giunta al sestodecim’ anno
Perche à i nemici non cadesse in preda,
Ma del rio seme rimanesse germe,
Volse à lei proueder secretamente.
BER. E che prouedimento fu cotesto? 825
SEC. Fra i boschi sacri à la gran Dea de boschi,
Dou’ houm non entra mai, gregge non pasce,
Nè coltel, nè bipenne unqua s’ adopra
Per la religone, e per la tema,
Si che dense le frondi, e spessi i tronchi, 830
Vi son da monti eccelsi intorno cinti,
A` quanti potè hauer saggi architetti,
Che dopo l’ opra fur subito uccisi,
Fè por secretamente un gran palagio,
Assai profondo, molt’ ampio, e poco alto, 835
Che de gli arbori il sommo non eccede.
Con ogni masceritia, ogni ornamento
Che à l’ altriu uita è d’ utile, e di pompa.
E la figlia murar dentro ui fece
Dotandola di tutto’ l suo thesoro, 840
E di basteuol turba di Donzelle,
E le fornì di quanta uettouaglia
Bastar poteua loro à uiuer quiui,
Se ben uissute fossero molti anni.
E poi più consolato, e più gagliardo 845
A`la ventura, e à sostener la guerra
Si diede, & à morir, sendo bisogno.
BER. S’ à quei Boschi interdetto era l’ ingresso,
Come u’ entraro il Re, la figlia, & altri?
SEC. A` Diana sacrò la figlia prima, 850
Poi licenza impetrò dai Sacerdoti
Di torne piante, e di fondarui mura.
BER. E donde hauer potean queste Donzelle
Poi d’ anno in anno uettouaglia noua,
Che si ricerca al nostro humano uitto? 855
SEC. Donne ui chiuse anchor dotte in ogni arte
Liberale, e mecanica, e u’ aggiunse
Atti stormenti, e campi, e uiti, e oliui,
E alfin di quanto hauer potean bisogno.
BER. E perche non mandò la figlia altroue? 860
SEC. Lo infido, infidi tutti gli altristima.
BER. Perche la moglie non ui chiuse anchora?
SEC. L’ amica moglie à parte esser uuol sempre
D’ ogni fortuna, ò prospera, od auuersa
Con colui, che consorte il ciel le diede. 865
Ma che speme restaua à Moleone?
SEC. Quella, che fino al rogo n’ accompagna.
Viuer, saluarsi, e trar la figlia fuori.
BER. E quando il Regno pur li fosse tolto?
SEC. Che la figliuola in quelle selue mai 870
Vista non fosse. e al fin restando spenta,
Il palagio, ohe’ n uita le fu albergo,
Le fosse dopo morte poi sepolcro.
BER. Come sai tù a capel cosi ogni cosa?
SEC. Il fine è quel, che manifesta il tutto. 875
Candaule non lasciando à dietro ufficio
Di prode caualier, di saggio Duca,
In Battra tosto s’ introdusse, & hebbe
Moleonte, e la moglie ne le mani.
E fattone que’ stratii, e quella morte 880
Data lor di sua man, di ch’ eran degni,
Per uoi ne uenne, à Battra ui condusse
Col minor fratel uostro, (sendo l’ altro
Succeso al padre in sù quei giorno estinto)
E prese il Regno, e la corono affatto. 885
BER. Spacciati, e trammi fuor del labirinto.
SEC. Non credo, che uarcasser quattro mesi,
Che co i primi del Regno il Re Candaule,
Cui era giunto anch’ io, n’ andò à la caccia.
E dopo lungo seguitar di fiere, 890
Dietro à una presta, e leggiadretta cerua
Da me solo seguito egli si pose.
La cerua, ch’ era forse à Delia sacra,
Entrò ne le sue selue, e noi appresso,
Che’ l furor giouanil, l’ ardente uoglia 895
Por ne fece in oblio l’ antica tema.
Cosi seguendo noi, fuggendo quella,
Giungemmo à uista di quel gran pelagio,
Ch’ io u’ ho già detto. BER. Segui. par ch’ io oda
Non so, che triso suon. Mouiti al fine. 900
SEC. Il Re fermossi attonito, e gran pezzo
Stette d’ intorno à essaminar le mura.
Alfin li uenne uoglia entrar là dentro.
E dal cauallo, e da destrezza aitato,
(Poi che non eran troppo alte le mura) 905
Si mise dentro à punto in un giardino
Posto à canto al palagio, & io con lui
E taciturni per frondoso calle
Cominciammo à portar sospesi i passi.
BER. Ahime, che’ l cor di gran doglia presago 910
Dentro si scuote, e’ l sangue à se richiama:
Hor segui. egli entrò dentro. che successe?
SEC. La figliuola trouò di Moleonte
Attorniata de le sue donzelle
A`piè d’ un dritto, ombroso orbore assisa, 915
Che à un suo ricamo intenta, ne passaua
Del gi àcadente sol l’ hore più tarde.
Che, come dal lauoro alzando il uiso
Ne uide, tinta del color del Bosso,
A la fuga rubar si accinse tosto. 920
Ma il Re con quattro salti se le oppose,
E ratto antecipandoglie la uia
A`mezo corso in braccio la ritenne.
BER. Ah misere noi donne, come siamo
In man di traditori, in man di cani. 925
SEC. E con parole acconcie, che condiua
Quanto ripose mai mele Aristeo
La rese mansuata. Deh, cor mia,
Dicea, che hauete uisto? un Basilisco?
Temete, che col guardo io non u ’offenda? 930
Se’ l temete, priuateme del lume.
E ci òsuccederà, quandolasciate,
Ch ’io miri a uoglia mia quel uolto illustre,
Che, non che me, ma il Sole anchor ’accieca.
Hauete, forse uoi qu ìuisto un ladro, 935
Che ui uenga à rapir le cose uostre?
Se ’l temete, giungetemi le mani
Col forte laccio de la uostre chome.
Hauete forse uisto un ’Orso, ò un Drago,
Che impetuoso contra uoi si stenda? 940
Se’ l temete, di quelle braccia uostre
Dolce catena mi annodate al collo.
Deh Dio, che uoi con quella uaga mano
Credete punger sol cotesta tela,
E co ’uostri occhi Amor pungel à me l’ alma. 945
BER. Ve, che leggiadro amante. odi, che noua
Oratore amoroso èil mio marito.
Quando àla moglie sua disse mai tanto?
SEC. Per porre al mio parlar l ’ultima mano,
Ella del padre, e de la madre chiese 950
Auidamente,e poi de l ’esser nostro.
Il Re le espose con piet àla morte
E de l ’uno, e de l’ altro suo parente,
Senza farsi per òdi quella auttore.
La consolò, poi le soggiunse, ch’ egli 955
Era un di quei, che fauorian suo padre,
Che àl’ hor dolente al nouo Re seruiua.
Ma, che, piacendo àlei, le promettea
Di darle in man la scelerata testa
Del Re Candaule, che la madre, e ’l padre 960
Le hauea si àtorto, e crudelmente ucciso.
Cosi le prommeteua, e le giuraua,
Che la trarrebbe fuor de l ’hermo albergo,
Che chiuder non douea tanta bellezza.
E ch ’egli, à cui la face maritale 965
Non s ’era accesa anchor, la sposerebbe.
Che gi ànon era di ottenerla indegno.
E che sapea, che ’l popol Battriano,
Che del padre di lei tenea memoria
Fresca, che honorata, e desiderio ardente; 970
Tosto, che la uedesse, riporrebbe
La figlia sin ’à l’ hor bramata, e cerca,
Vnica herede nel paterno seggio.
Ella, dando àle gran promesse orecchie,
Carca di speme, la indurata uoglia 980
Ruppe, e piangendo il suo consenso diede.
CHO. Qual ’arte, ò qual ualore
Pu òdifendere, ò donne, il nostro honore,
C ’hora con mine ascose,
Hor con aperta pugna 985
L ’huom fraudolente insidia, e forte oppugna?
SEC. Cosi lontani da ’compagni nostri,
Parte il Re preghi usando, e parte forza,
Quella notte alloggiammo in quel palagio,
Doue Candaule e Dalida (che questo 990
Nome ha la donna) hebber commune il letto.
BER. Ah traditore, ah perfido, ah profano,
Dunque io son si sprezzata, io son si brutta,
Che cherchi per li boschin oue donne,
E d ’hauer me per donna ti uergogni? 995
SEC. Da indi in qu àcon somma secretezza
Continuato ha poi questo iuiaggio,
Per ogni mese almen tre, òquattro notti.
Conducendo conlui sempre me solo,
Sotto color di caccia uscendo fuori. 1000
Noi la fera alloggiam presso quei boschi
Di Diana con gli altri cacciatori
Dentro àun uilla. indi il Re solo, & io,
Quando tutti risolue amato sonno,
Per l ’amico silentio de la Luna 1005
N ’andiamo al sozzo, e scelerato albergo.
Doue per non uarcar sempre le mura
Fatto una porta habbiam, che fuor si chiude.
BER. A` cotai caccie uai dunque spesso?
Cotal dunque èil piacer, che tu ne pigli? 1010
Et io rimango tormentata, e mesta
Per la distanza tua, le notti intere
Senze cibo souente, e senza sonno
Trahendo in essercitio tra le serue,
Mentre che in care gioie, in bei diletti 1015
Con la tua incesta amica, iniquo, ingrato,
Di me poco caldendoti. riposi.
Ben mi merauigliaua io, che le fiere
T ’hauesser di se tanto innamorato.
SEC. Perseuerando aduneque i cari amanti 1020
Cosi tra questi abbracciamenti accolti;
Cominci òil uentre à Dalida à ingrossarsi.
Onde ’l Re, quando già maturo il frutto
Connobe, per purgarlo da la machia
De l ’adulterio; e habilitarlo al Regno; 1025
Spos òla madre, e da lei hebbe tosto
Duo figliuoli, una femina, &un maschio.
I quai con ogni industria, ogni grandezza,
In isperanza di si alto stato
A la madre alleuar fin ’hora face. 1030
Cui si scoperse poi d ’esser Candaule,
E la promessa testa in sen le pose.
E ben le pot èfar creder, che sciolto
Da moglie fosse. poi che le sue nozze
Con uoi, non furon publicate mai, 1035
Se non àl’ hor, che uoi ueniste à Battra.
BER. Ah suenturata Berenice, àquesto
Giungon le tue precipitate nozze.
Dunque due mogli l ’empio à un tempo uuole?
Dunque, viva, send ’io, spera Candaule 1040
Tenere un’ altra sposa, e ch’ io’ l comporti?
Quest ’èil bel premio, che al Re d’ India ei rende
Che di dar per moglier non hebbe àsdegno
Vna sua sola figlia àlui cacciato
Dal seggio, da la patria, e dal paese, 1045
Abbandonato da ogni aperta aita,
E pouer d ’ogni ben de la Fortuna?
Hor ua, fidati in huom, semplice donna.
CHO. Donna, che in hom si fida
Apparecchi le lacrime, e la grida. 1050
BER. Ben mi dorrei, ben chiamerei uendetta
Contra l ’auttor del nostro maritaggio,
Quando tu, padre mio, stato non fossi:
Padre, il tuo poco antiueder conduce
La tua figlia àtai termini. che gli occhi 1055
Doueui aprir nel maritarla, meglio.
Ben poteue discorrer, che costui
Di parentado àtraditor congiunto,
Non poteua da lor molto scostarsi.
E chi non sa, che damme escon di damme, 1060
Di leone leon, tigre di tigre?
CHO. Misere donne, àchi
Conuien prender marito àsenno altrui.
BER. Non hai potuto, perfido, in sei anni
Mai produr di me figli. e chi non uede 1065
Hor la ragion? perche l ’amor non u’ era,
E non u ’era’ l desio, ma d’ altra parte
Hai non d ’un parto, ma di duo colei
Gi àfatta madre, e perche? perche u’ era
E ’l desire, e l’ amore. e i costei figli 1070
Alleui per dar lor morendo il Regno
(Che acqiustato con l ’armi di mio padre,
Mio Regno si pu òdir quasi dotale)
O` perche te ne spingano fuor vivo,
Cresciuti àuendicar l’ auo materno. 1075
Non haurai pi ùil Re d’ India, che ti aiuti.
Ouer, perch ’io più giouane rimanga
Di si fatti figliastri in podestate.
O`s ’auuien, che l’ obbriobrio Dio mi tolga 1080
De la sterilitade, e sciolga il uentre;
Perche quei figli i mei tengan soggetti.
Io ben mi elleger òprima la morte.
SEC. Mora pur tutto ’l mondo anzi, che uoi.
BER. Doue sei padre? perche anchoe non uiuui,
Che àte pur richiamar me non potesi? 1085
SEC. Per ch ’io, mal ricordandomi, in presenza
Di Dalida, e de Re feci memoria
Di Reina una uolta, ella richiese
A`l ’hora chi uoi foste. à cui Candaule
A` creder diè, che gli erauate madre. 1090
BER. Sdegno èben questo, ch’ ogni sdegno auanza.
Dunque io si laida, io si uecchia ti paio,
Che mi posso chiamar la madre sua?
SEC. Deh signora, credete, c ’hi’ sia cieco?
Ual pi ùuna uostra man, più un uostro labbro, 1095
Un uostro aprir di bocca, un uolger d ’occhi,
Che tutt ’ella non uale. e più felice
Io mi terrei d ’un uostro sguardo solo,
Che del colei possesso intero, e lungo.
Imaginate pur, nobil Reina, 1100
Che di pietra conuien, che sia colui,
Di ferro, di diaspro, e di diamante,
E non di carne, il qual non uuole amarui.
Vedend ’io dunque un cosi espresso oltraggio,
Che u ’era fatto; e che’ l Re poco accorto 1105
(Dirò con riuerenza, e con sua pace)
Indegno di goder si belle membra,
(Come son quelle della mia Reina)
Vi lasciaua negletta in fredde piume,
Per cercar con periglio si euidente 1110
Le case ascoste d ’una sua nemica;
E i figliuoli alleuar del sangue iniquo
Bastardi per signor nostri futuri;
Fui alterato, e non potei far ’altro,
Che fauorir la uostra causa giusta. 1115
BER. E perche hai tu tardato poi tanti anni
A` palesarmi un si eccessiuo torto,
Se tal di me pietade il cor ti punse?
SEC. Signora, il grand ’ufficio, ch’ io sostegno,
D ’esser l’ arca fedel, dentro al cui seno 1120
Depone il Re tutti i secreti suoi
Senza sospetto, mi serr òla bocca.
Oltra, che per ingiuria cosi leue,
(Rispetto àl’ altre, c’ hor giungon più fresche)
Gran fallo giudicai uersar tant ’acqua 1125
Su ’l foco marital, ch’ ardea si uiuo.
Ma poi, ch ’io ueggio il Re, dou’ egli prima
Col pomo de la spada ui seriua,
Volgere hor contra uoi la punta, e ’l taglio;
Tento il uostro schifar col mio periglio. 1130
BER. Commenta hora il tuo dir si, ch ’io l’ intenda.
SEC. Dalida domandando il signor nostro,
Qual fine hauer douean le occulte nozze;
E quando haueua àuscir di quei diserti;
Vdio da lui. che per trouarsi in Battra 1135
Il fratel di sua madre (ch ’era il uostro)
La qual posta in prigion da Moleonte,
Era stata da lui tratta poi fuori;
E per questa ànessun patto s’ haurebbe
Lasciato indurre (hauendo il frate appresso, 1140
E d ’ira contra Moleonte ardendo)
A` consentir, ch ’ella uenisse in corte;
Ei non poteua ardir nouit àalcuna:
Ma ben la Real fede le astringea.
Che come prima il riuerito zio 1145
Fosse partito (il che speraua in breue)
Indrizzerebbe àbuon camin le cose,
Cauando lei fuor del soligno albergo,
Et assidendo al Real trono in cima.
Che per Amore, e (bisognando) àforza 1150
Constringeria la madre àhumiliare
Il collo al giogo de le uoglie sue.
Hor, che ’l minor fratel, che qui con uoi
Staua, chiamato dal maggior, che ’l Regno
De l ’India regge dopo il morto padre 1155
A`le squadre condur contra il Re Bocco,
Heri in fretta àpartir quinci fu astretto,
Si che al cognato non pot èdir nulla,
Ch ’era à la caccia, ou’ ei uenir non uolse;
Temo, che contra uoi sola rimasa 1160
La tela ordita di pi ùduro stame
Non cominci àtramarsi. e più s’ aceresce
Questo sospetto mio. per òche quattro
Giorni, (come sapete) il Re àla caccia
E` stato, e parte questa andata aurora 1165
Da lei, &hor di nouo à leimi manda
Con una noua lettera importante,
(Com ’egli dice) à dar noue anbasciate.
BER. E donde hauer potr òdi quanto hai detto
Soda, &indubitabile certezza? 1170
SEC. De la lettera stessa, ch ’io le porto.
BER. Dunque (se m ’ami) dammela. SEC. Prendete.
Ch ’io u’ amo, e non ho lingua, con cui neghi
BER, che uostra altezza mi domandi.
BER. La salute hor leggiam, con cui saluta 1175
Il giovinetto la nouella sposa.

CANDAULE RE DI BATTRA
ALLA REINE
DALIDA SUA SPOSA:

Io, ò dolcissima sposa mia, non ui mando salute alcuna. perche essendo uoi sola la
mia salute, non posso, uoi stessa à uoi medesima mandare. Mandoui ben nouella, 1180
desiderata, e dimandata da uoi, promessa, e procurata da me. C’ hoggi tornato da
caccia à corte ho trouato, il fratello della Reina mia madre effersi di Battra partito,
e al suo paese auuiato leuata ogni speme di ritorno. Ecco dunque doppi si lungo
torbido, rifulgere certissima serenità. Ecco, ch’ io farò mostra al Mondo delle
bellezze uostre, cauandoui della solitaria prigione, e riponendoui in quell’ honora, 1185
ta altezza, che meritano i meriti uostri, e, che deono le promesse mie. E mia madre
sarà costretta à farsi legge de le mie uoglie, e risoluersi, ch’ io la faccia, ò di uita,
ò di colera priua rimanere. studiate allo alleuar de’ communi figli, non più alla
speranza, ma alla certezza del Regno: conseruatemi sano, e lieto, il che potrete
far conseruando uoi. 1190

SEC. Volgeteui, signora: ecco una Donna,
Che di panni ugualmente, e d’ anni carca
Verso noi uiene. udiam ciò che dir uuole. 

ATTO II, SCENA iv
GELOSIA, BERENICE, SECRETARIO

GEL. Il partir del fratel de la Reina,
C’ ho inteso da costui, m’ apre opportuna 1195
Occasion di far l’ ufficio mio.
BER. I’ non raccolgo anchora altro, che’ l suono.
GEL. Signora, il fratel uostro, il qual caualca
Quinci non molto lungi, à uoi m’ indrizza,
E mi comanda, ch’ io ui stringa, e baci 1200
In nome suo. dapoi, ch’ io u’ ammonisca,
Che gran trauaglio ui apparecchia il cielo.
Ma, che spirto magnanimo prendiate,
Senza mostrarui di perduta mente.
Perche uscirete di cotesta angoscia 1205
Pria, ch’ esca il Sol di nouo. e la uendetta
Del fallo andrà fida compagna à paro.
M’ impose anchor, che per armarne il core
Io ui figessi di mia man nel seno
Una pietra eccellente, in questo affanno 1210
Di gran uirtute.
BER. Fa quant’ ei ti disse.
SEC. Deh perche non è imposta à me tal’ opra?
GEL. Hor che espedita son, uoglio lasciarui.
BER. Rapporta à chi ti manda (se più il troui)
Che quanto ei dice è uia più uer del uero, 1215
E ch’ io farò di uendicarmi ogni opra:
Par che gran gelo sia
Dentro al mio petto sparso,
Ond’ egli si può dir gelato, & arso.
O` figlie horrende de le trista sera, 1220
Che à l’ opre humane, e ree gastigo date.
Tu Thesison [l. Tisifon ?], tu Aletto, e tu Megara,
O` auante alme dannate
Ne l’ inferno habitate
A` me uenite, e d’ una rabbia fera, 1225
D’ un disperato, e ardente cor mi armate.
Arda tutta di sdegno
E agghiacci di pietate.
Con ogni forza uostra nel mio petto
A` pigliarui uenite ampio ricetto: 1230
Chiudasi in questa destra quanto foco
Ministra in Etna il feruido Vulcano,
Perchio’ l possa gettar di loco in loco,
E trarne incendio strano.
In questa manca mano 1235
Quanto uelen produce Ponto, inuoco
E acciò che’ l mio pensier non torni uano,
Siaui anchor quanto ferro
Rende’ l Norico piano.
Tutta m’ infiammo, ne’ l libero padre 1240
Commoue si le sue deuote squadre;
Hor che consiglio, ò mio fedele amico,
Mi dai da far la più dura uendetta,
Che giamai ascoltasse orecchio humano?
SEC. Signora, quand’ io fossi in loco uostro, 1245
Renderei il riscontro à mio marito
Di quello essempio, ch’ ei dato m’ hauesse.
Scontando ingiuria con ingiuria eguale.
BER. Io ben lo dourei far, se fossi accorta.
Cotesto, e peggio il traditor si merta. 1250
Ma non uo, ch’ egli inme quelle ragioni
Habbia, ch’ io in lui. nè uoglio esser si uaga
D’ offender lui, che me medesma offenda:
Ma di me tante gratie ti prometti,
Quante chieder saprai. che farle io giuro, 1255
Se ti dà il cor di pormi tosto in mano
L’ adultera, e profana meretrice,
Con que duo germi del mal nato seme,
Perch’ io ne le costor lacere carni
Possa sbramar le mie rabbiose brame, 1260
E’ l mio sdegno ammorzar nel costor sangue.
E lo dei far, se tal pietà nel petto
Di me ti entrò. dei farlo se ti è cara
La uita mia, che fia poi sempre esposta
A`beneficio tuo. s’ ami la gratia 1265
De’ miei germani. dei farlo se uuoi,
Che’ l promesso silentio anch’ io ti attenga.
SEC. Signora, quando non tante, ma una
Sola gratia concedermi giuriate,
io u’ assicuro, e ui do il capo in pegno 1270
Di darui hoggi in potere, e questi, e quella.
Io sol tengo à pennel la strada occolta
Per lochi senza uia, strani, interdetti.
Io solo ho i signi. io solo, ecco, ho la chiaue,
Con che à mia posta aprio il palagio, e chiudo. 1275
Io, ecco, ho il regio anel, l’ anel, che’ n dito
A`Dalida il Re fisse, & hor mi diede
Hauendoglilo lei reso da poi)
Perch’ ella creda, che del Re son messo.
Io sol son dopi il Re noto à colei. 1280
Ho poi l’ ingegno desto, onde ni uanto
Di trarla senza sua saputa à uoi.
BER. O` da me sopra ogni altra cosa amato,
Se ciò uuoi far (che’ l poter so, che l’ hai)
Per la temenda podestà di Gioue, 1285
L’ inuiolabil Nume di Giunone,
E per quanti altri Dei uiuono in cielo,
Io giuro di concedertiogni gratia,
Sia che gratia si uoglia; che mi chieda.
SEC. Et io raffermo à uoi quanto ho già detto. 1290
BER. Comincia dunque à chieder, perche prima
Tè uo essaudir ch’ i sia da te essaudita.
SEC. Una giovane alberga in uostra corte,
Sacra Reina, la più uaga, e bella
D’ ogni altra, e gratiosa à gli occhi mei. 1295
La qual per esser nata in alto loco,
(Anchor, ch’ io l’ ami, anchor che per lei peni)
Non degna di girar si basso gli occhi.
E intanto Amor non lascia specie alcuna
Di colpi suoi , d’ incendii, de legami, 1300
Che non adopri à questo core intorno.
Hora costei, per cui morir mi sento,
V’ è tanto cara, e tanto interna amica,
Che potete disporne à uoglia uostra.
So che intendete (se ben taccio) il resto. 1305
BER. Mira ben, che costei sia tal, ch’ io possa
Far di lei à moi senno. SEC. Io ui ridico,
Ch’ ella farà quanto uorrete uoi.
BER. & io giuro per quest’ almo raggio
Di Sol, che sia da me l’ ultima uolta 1310
Hoggi mirato, se non faccio tanto,
Che costei t’ ami, in ogni tuo desire.
Hora mi di, chi è, nè temer punto,
C’ hoggi il tuo intento haurai, sia chi si uoglia.
SEC. Quantunque il nome suo mi stia intagliato 1315
A’ lettere minute di diamante
Ne la lingua, e nel cor, pur non haurei
Di proferirlo animo mai, nè uoce.
Ma quì mostrarui ben posso un ritratto
Di lei, ch’ io porto meco. e senza dubbio 1320
La riconoscerete in questa imago.
BER. Se’ l nome dir non puoi, dammmi il ritratto.
SEC. Prendete, alma Reine, questo specchio,
E alzandoui il cristallo incontro al uiso,
Ve la uedrete espressamente dentro. 1325
BER. Io, altri, che me stessa non ci ueggio.
SEC. Et io, altri, che uoi stessa non amo.
Deh Dio, signora, il ueggio, il so, e non tremo,
Che troppo alto mirai, tropp’ alto ardisco.
Ma, che ci poss’ io far, s’ Amore è cieco? 1330
So, che rossor, rispetto, e riuerenza
Non mi dourian lasciar parola, ò uoce.
(Il conosco, il confesso, & il condanno)
Ma, che ci poss’ io far, s’ Amore è nudo?
No ui merauigliate, alta Reina, 1335
Del molto ardir, del poco mio riguardo
In riuelarui un si strano desire.
Ma se uolete prender merauiglia,
Prendetela, com’ io tanti anni amando
Sia stato, consumandomi, e tacendo. 1340
So, che non ui lattar le tigri, ò l’ orse,
Nè produsser la quercie. onde soffrire
Non potrete giamai, che un uostro seruo
Per ben amar, ui cada morto a’ piedi.
E s’ à. chi u’ ama dar uorrete pena, 1345
Che farete à chi u’ odia? Ahime, Reina,
Da questa parte ho il mal, da questa il bene.
Quinci la morte sta, quindi la uita.
Hora si spetta à la sentenza uostra
Di rilegarmi in qual parte ui piace, 1350
Eccoui il modo facile, e spedito
Di uendicarui doppiamente à un tratto
Del uostro sposo. Ecco la uia di trarne
Prole (dono, che tanto desiaste)
Che se per non amarui il Re Candaule 1355
Ciò non ottiene, à me ben fia concesso.
Eccoui un fido, affettionato seruo,
Che la uostra prepone à la sua uita.
Che ui fia sempre, e rocca, e lancia, e scudo
In ogni sorte, e prospera, & auuersa, 1360
Compagno ne la uita, e ne la morte.
E s’ ei pere, il padron se n’ haurà il danno.
E forse la mia perdita à caldi occhi
Indarno piangerete à l’ hor, che sola,
Qui non hauendo alcun del sangue uostro, 1365
Venir uedrete il Re, quand’ egli sia
Certo del uostro ecceso, e del suo danno,
Contra uoi fulminando. ma, che debbo
L’ util proporui? e se ui fosse danno,
La fè data da uoi, li Dei chiamati 1370
Non permetton rittarui. ch’ io con loro
Mi dorrei, sotto’ l lor giurato nome
Esser cosi da uoi stato schernito.
Ma quando ancho promesso non haueste
(Che pur promesso, e pur giurato hauete) 1375
Il uero, il uiuo amore, c’ hoggi u’ ho mostro,
Far ui dourebbe come cera molle.
Ciò fia secreto. e quando si risapia,
Chi ui reprendera? chi potrà dire,
Che la fe maritale habbiate rotta? 1380
A`l’ infedel non de’ seruarsi fede.
Che dirà il Re? Che ingiustamente aspetta,
E chiede quello altrui, ch’ ei dar non uuole.
Che dirà il Mondo? ch’ è usato, ch’ è giusto
Sempre rendere altrui quel che si presta. 1385
L’ India alfin che dirà, ciò risapendo?
Che’ l dolor, che’ l desio de la uendetta
Ad ogni arma s’ auuenta, che gli è offerta.
Che pena ui daran li Dei? nessuna.
Che hauendo il Re sposata un’ altra, accenna 1390
Hauer fatto di uoi ripudio occolto.
E perche, se ben uoi uenirmi a meno
Uoleste anchor de la parola uostra,
Io le promesse mie romper non uoglio;
Dalida, e i figli condurrouui innanzi. 1395
A`cui per tormentargli apparecciando
Supplicii, à me gli apparecchiate anchora.
Pesami questo sol, che paga, e lieta
Morrà colei, morir seco uedendo
Colui da chi si chiamerà tradita, 1400
E uoi d’ aiuto rimarrete ignuda.
BER. Merauigliomi ben di tanto ardire,
A` cui troncar dourian l’ ale, e le piume.
(Se non l’ antiueder del tuo intelleto)
La mia honestade, e la grandezza mia. 1405
SEC. Coteste parti fan l’ ufficio loro.
Ma la uostra beltà sueglia il desio,
La uostra data fè l’ empie di speme,
E l’ uno, e l’ altra Amora guida à suo senno.
BER. E meglio t’ era pur chieder ricchezze, 1410
Honori, od altro, che ottener potessi.
SEC. Che puo giouar ricchezza, honor, salute
Ad huom, che è senza gioia, e senza vita?
I’ chieggio quel, che mi può far beato,
E senza uci, piu star nonuoglio in terra. 1415
Se l’ darui in man la donna, e i figli è fallo,
Già non doureste uoi farne uendetta.
Deh signora pietà di chi pietade
Hebbe, & haurà di uoi, mentro fia uiuo.
Se ad amar ui mouete per amore, 1420
Moueteui per questo, ch’ io ui porto.
Se per odio, moueteue per quello
Che uoi portate à Dalida; e d’ à i figli.
Se fede puote in uoi, la mia ui possa.
Se ui può infedeltà, possaui quella, 1425
Che’ l uostro sposo contra commette.
Non fate, alta Reina, de gli amici,
E de’ nemici parimente stratio.
BER. Sì acconcio tempo, e sì commodo loco
Hai colto, che negar non posso nulla. 1430
Però di compiacerti io ti prometto.
SEC. O` me felice, ò Amor grato, ò uoi pia.
Quando porrò tanta mercè pagarui?
BER. Ma ben mi fora summamente à grado
Se prima andassi per l’ odiata Donna, 1435
E co’ figliouli suo quì la trahessi.
E poscia impetrarai da me contenta
Quel premio, che desideri. E sù questo
Io t’ obligo di nouo la mia fede.
SEC. Securo son, che non saprà mentire 1440
Sì generoso cor, note sì dolci.
E perche’ l mio uoler dal uostro pende,
A` Dalida n’ andrò.
BER. Con che pretesto
La disporrai à uscir di là? SEC. Sott’ ombra,
Che’ l Re sposare hoggi la uoglia, e farla 1445
Reina, e che uoi frate à ciò discesa;
A` uoi la menerò nel primo ingresso
Voi (se ben chiamerà uendetta il core)
Di finta gioia, e simulata pace
Fuor dipingete’ l uiso. le Donzelle 1450
Che con lei ne uerran, chiuder farete
Senz’ altro indugio in un’ occolta stanza.
Voi souente uscirete à questa parte
Ad incontrarne, ch’ io la trarrò quinci,
Perche notitia hauerne il Re non possa. 1455
E perche meglio à credermi la induca,
Io fingerò una lettera, che’ n questa
Materia caldamente il Re le scriua.
E ben lo posso far, c’ hò il regio anello,
Nè’ l carrater real uid’ ella mai. 1460
BER. Che dirà, che nè Donne, nè Donzelle
Habbia ad accompagnarla il Re mandato?
SEC. Io mi saprò ben finger le ragioni.
BER. Come farà camin s`l lungo, & aspro
Con quei faniculli à piè fin quì? SEC. Non uoglio, 1465
Che uenga à piè. ben uoglio, che à la porta
Smonti, acciò che’ l calpestio il Re non oda.
Ma come crederà colei, che Madre
Uoi siate al Re, di lei più bella, e fresca?
BER. Quanto potrassi studierò celarmi. 1470
SEC. Ell’ entrerà certo in sospetto.
BER. & entri.
Voglia, ò non uoglia in poter nostro fia.
SEC. Ma di me, che sarà, quando il Re troui
Il caro nido desolato, e uoto
De la nouella sposa, e de’ figliuoli? 1475
BER. Io non hò differito à questo punto
Il consultarne, e già fermo è il disegno,
Come insieme uiuiam salui, e securi.
Io uò, che questio sia l’ ultimo giorno
Al tuo signor, no uo più dir mio sposo. 1480
O` con foco, ò con ferro, ò con ueleno
Io uo, che questo Re, questo tiranno
Sgombri dal mondo, e porti à Stige il lezo
Nè tu mi uerrai men, credo, d’ aita.
Spento, che sia l’ abominoso mostro, 1485
In te farò cader la moglie, e’ l Regno.
E sarai Re di Battra, e mio marito.
SEC. Di si sommo fauor, si alto dono
Chi potria ringratiarui? e doue mai
Col pensier di mill’ anni, e mille ingegni 1490
Si poteua ordinar si bel consiglio? 

 

ATTO II, SCENA v
BERENICE sola

Gioia di sommo, incomparabil preggio
E`l’ honor, mai il desio de la uendetta
Accesso in cor di dona è si possente, 1495
 à se trahe, che’ n se muta ogni pensero,
Qual fiamma, che’ l tutt’ arde, e in se trasforma.
Essempio ne lasciò la bella moglie
Del Re de Lidi, che da lui mostrata
Nuda à l’ amico suo, di tanto segno 1500
Arse, che’ l Re leuar di uita fece,
E à l’ amico del Re nuda s’ offerse.
Questo desir magnanimo, e reale
Di uendetta costrinse Clitennestra
Far di fe don cortese al sacro Egisto, 1505
Poi che le fu portato auuiso certo,
Che’ l suo marito, lei posta in oblio,
In uece di combatter con gli Heroi,
Abbracciaua le uergini Troiane.
E (se pur uere son le historie fatte 1510
Dipingere à i ministri di Plutone
Tanti secoli pria, ch’ escano in atto,
Da Zoroastro Re di questo Regno
In questo suo mirabile palagio)
L’ animosa, e terribil Rosimonda 1515
Farà il medesmo, poi che haura beuto,
Da forza astretta, nel paterno teschio.
Dentro al cui fondo lascierà del uino
La sete, e sete prendera di sangue.
Tra quste anch’ io d’ annouerarmi bramo. 1520
Vada l’ honor, uada la uita, uada
L’ alma. che questi mei famelici occhi
Di si grata Tragedia pascer uoglio.
Non se n’ andrà cosi quest’ odio nostro.
Ma lo sdegno più fresco, e più uiuace 1525
Risorgerà nel cor secondo ogn’ hora.
Dunque io comporterò, che gli altrui figli
S’ alleuino, e mi faciano matrigna?
Dunque io supporterò, che uincitrice
Costei mi abbata, e nel mio loco ascenda? 1530
Non fia mai, mai non fia, non sarà mai.
Candaule, non à dar la testa tua
A la sposa, ma à tor la sua t’ affretta.
Furor, non allentar, discorri, cresci,
Multiplica, sfauilla, bolli, auampa. 1535
Ecco, ch’ io t’ apro il petto, e t’ offro il core.
Tu, Berenice, ogni gran proua ardisci,
Nè scelerata impresa ti spauenti.
Mei occhi asciutti, man mie siate audaci,
Inuiperate, indragate, impetrate, 1540
Non ui uolga, nè regga altro, che l’ ira.
Hor dentro torno à far, che l’ apparato
De le nozze, solenne s’ apparecchi. 

 

CHORO

Lingue loquaci, & acri,
Che come’ l mar non tien cosa, ma l’ onde 1545
Gettano il tutto fuor de’ suoi lauacri,
Cosi’ l mar uostro nulla non asconde;
Che mi darà sentenze si profonde,
Lingue tanto faconde,
E uoci si seconde, 1550
Che con detti durissimi io ui essacri?
O`houm di lingua sciolta, e incontinente
Sia in ogni età mal nato, e in ogni gente:
Se mai te credi al mare,
Di Ciece ti dai la tempestade. 1560
Per te l’ acque de’ fonti siano amare.
Mai non impetri effetto, che ti aggrade.
Bandito sii da tutte le contrade.
Non ti produca hiade,
In se non ti dia strade. 1565
L’ antica madre, anzi asacciarti impare,
O`s’ apra, come al gran profeta Argiuo,
Sotto a’ tuoi piedi, e ti diuori uiuo.
L’ aer per te, nè spiri,
Nè si moua per te, nè ti dia fiato. 1570
L’occhio tuo cieco il chiaro sol non miri.
Nè ti mostrin le stella il lume usato.
Da te riuolga Cinthia il uolto grato.
Il fier Chirone armato
D’ arco, e di strali, à lato 1575
Quel carchi, e questi nel tuo petto tiri.
E lo scorpion, che proesso lui conosco,
Ti morda, e sparga di rabbioso tosco.
L’ horribill Capricorno
Per correrti con impeto à ferire, 1580
Aguzzi assottigliando il dritto corno,
E`seco meni il granchio, che pien d’ ire,
Cotesta lingua tua uenga à punire
Con le sue branche dire
In eterno martire. 1585
Nè la fiera Nemea faccia soggiorno,
Ma contra te ruggendo à piombo scenda
Col gozzo aperto, e uerso te lo stenda:
Vengantra questi à porse
A` tuo supplicio dal polo eminente 1590
Pregne di giusta rabbia le due Orse,
E seco tragan l’horrido serpente,
Che le disgiunge qual torto torrente.
E’ l morboso & ardente
Cane battendo il dente, 1595
Da ciu sian le loquaci lingue morse.
Nè la saette sue mai drizzi altroue,
Che contra l’huom loquace, irato Gioue.
Nè ben, ma pena dia,
Nè lo riscaldi, ma lo abbruci il foco. 1600
Misero si, non miserabil sia,
Mendichi il pane in suon tremante e fioco.
Li Dei del cielo de la terra inuoco,
Del Regno à i uenti roco,
E del più basso loco, 1605
Che rata faccian la preghera mia.
Nè come s’ io l’ auttor di ciò, ma fosse
O` Radamanto, od Eaco, ò Minosse:
Li feran gli occhi eguali
A` quei di Edippo. ò di Fineo uolando 1610
A` torno i corbi, che le candid’ ali
In nere transformar troppo parlando,
E le infauste cornici, che auisando
Secreti ascolti, e in bando
Da la lor diua andando, 1615
Uoci hebber sempre poi nuncie di mali.
Stia sempre ne gli orecchi del loquace
Il romor, che cadendo il Nilo face:
E le sue nari ingombri
Sempre col graue odor lo stagno auerno. 1620
Ogni cibo dinanzi li disgombri,
Senza riposo con digiuno eterno
La turba de l’ arpie, che da l’ inferno
Si scagli al ciel sueprno.
Alfin con ogni scherno, 1625
E con ogni martir la uita sgombri.
L’ alma à i demonii, pasto à i peregrini
Augei sia il corpo, & à i pesci marini.
E’l primier dato à tal punitione
Sia Besso, il qual (se’ l mio pensier non falle) 1630
Hoggi d’ alcun gran mal sarà cagione.

Atto III