PERSONE PARLATRICI 

OMBRA DI MOLEONTE
MORTE
GELOSIA
CHORO

CANDAULE RE
SECRETARIO

BERENICE REINA
CONSIGLIERE
DAMIGELLA
DALIDA
ANCIULLO
MESSO

La scena e in Battra

Il Choro di donne Indiane

 PROLOGO 

S’ alcuno aspetta udir le argutie, e i motti
Di sal condìti da Sosia, ò da Siro,
Che asconder gli occhi, & increspar le ciglia
Li facciano col riso; e mirar brama
I giuochi, e i maritaggi de la plebbe; 5
Può ben partirsi, e ageuolar la stanza
A gli altri, i quai caper ui possan meglio.
Però, che l’ Auttor nostro anchora tanto
Non ha impetrato da le sue uenture,
Che à cosi dolci, e dilettosi studi’ 10
Habbia potuto l’ animo disporre.
Se parimente alcun qui si condusse
Scorto da falsa, e in uan nata credenza
D’ ascoltar qui gli amor semplici, e uaghi
De le uezzose, é leggiadrette Ninfe, 15
E le rime cantate da Pastori
(Benche à l’ aprirsi de’ caduti panni
Accorger de suo error costui si debbe.
Quando non uide le aspettate fronde
A l’ aura tremolar, nè vide i poggi 20
D’ herba minuta, e di fioretti sparsi)
Da parte de l’ Auttor buona licenza
Li do di andarsi in pace. Però, ch’ egli
Si gioiosa non ha la mente sua,
Che fra i Monti d’ Arcadia, fra i diletti 25
Di quelle Ninfe, e di que’ Semidei
La residenza sua collacar possa.
Viua fra i fior chi uuol, fra i suoni, e i canti,
Che l’ Auttor nostro in tenebroso horrore
Con Heraclito ogn’ hor uiurà piangendo 30
In meste strida, in tristo, e aspro stile,
Con le miserie altrui le proprie pene.
Dunque colui, che con proposto uenne
Di lamenti ascoltar, lacrime, e morti,
Sieda securo, e taccia, che adempito 35
Hoggi fia’ l suo uoler forse à bastanza.
E certo, ch’ altro attender si potea
Da si misro Auttor? Deh Dio, che mentre
Ei sta piangendo una miseria sua,
Un’ altra sopr’ arriua, e un’ altra, e un’ altra, 40
Si ch’ ei s’ arresta attonito, & incerto
Qual prima debba piangere, e qual poi:
Stassi il misero Author piangendo il greue,
E duro sren de l’ aspra pouertade,
In cui e’ uenne al mondo, e si querela, 45
Che tanti sian thesor perduti, e ascosi,
Che fra i Prencipi, e Regi de la terra
Tanto si spenda in un conuito solo
In pascer Scimie sol, cani, esperuieri,
Quanto basteria à punto per far ricca 50
(Lunga quantunque) la sua uita tutta:
Ecco mentre si duol di questo male
Vna più trista rimembranza il punge.
Quiui il pianto l’ Auttor raddoppia à l’ hora,
Che la sua cecità li torna à mente. 55
A l’ hora eisi ramarica cercando
Per qual demerto suo, tosto che nacque,
Veduto à pena il dì, cieco diuenne,
Se innanzi al nascer suo non sè peccato.
Duolsi, che gli occhi suoi dal ciel dannati 60
In sera eterna contemplar non ponno
Questo Ciel, questo Sole, e questa Luna,
Nè quest’ aere, quest’ acque, e questa terra.
Ma supra tutto so, che à l’ Auttor dole
Di non poter mirar l’ opra più bella 65
Del ciel, dou’ è di tutto’ l mondo un’ orma,
Che sete uoi pregiate, e belle Donne:
Hor mentre gli occhi suoi piangon se stessi,
Noua disgratia d’ altro lato il desta.
Souuiengli à l’ hor, ch’ ei restò senza padre, 70
Quando i primi alimenti anchor suggea
Da l’ alme fonte del materno metto,
Dou’ ei pupillo, e uedoua la madre
Restò spogliata d’ ogni human soccorso.
Quiui si duol, che uiuon tanti padri, 75
La cui morte è aspettata da’ figliuoli,
Più che da uoi questa tragedia noua;
E’ l suo, che stato li saria si caro,
Non potè pur conoscer, nè parlarli:
Mentre sospira il padre, ecco il maestro, 80
Che quel tentò, ch’ altri tentar non seppe.
Tentò guidarlo à gli ocii de le Muse
Fin che non l’ inuidiò la morte al mondo:
Mentre di si gran perdita si lagna,
La carissima Madre li souuiene. 85
Che (mentre in lei rifulse il uital raggio)
Thesor, uista li fu, padre, e maestro.
La qual quest’ anni à dietro inuido fato
(Perche nulla di ben gli auanzi in terra)
Gli ha tolto, senza ch’ egli habbia potuto 90
Dirle pur da lontan, Madre ite in pace:
Mentre cosi s’ afflige in uan, da sezzo
De l’ ultima sua doglia si ramenta.
Ramentasi, che Amor del cor l’ ha priuo,
E dato in pasto à una seluaggia fiera, 95
Fiera di uoglie, & angelo di uolto.
Che tra uoi Donne siede, e ben mi ascolata.
E se licenza già l’ Auttor negato
Non m’ hauesse d’ esprimer questo nome,
Lo esprimerei, perche ciascun sapesse 100
Da lei, come da fiera empia guardarsi.
Onde qual fia colui, qual fia colei,
Tratta quella crudel, che’ l trahe di senno,
Che per lui di pietà non uenga molle?
Però sendo l’ Auttor misero tanto; 105
E alleggerendo le miserie nostre
Ne le miserie il ritrouar compagni;
A le suenture sue conformi casi
Va cercando, e con questi si consola.
Tra quai se li se innanzi questa historia, 110
Che di rappresentarui hoggi disegna.
Posta ne’ libri, ch’ arsero in Egitto,
E riuelata à lui non so in che guisa:
Uscirà dunque la Tragedia nostra
De l’ Auttor proprio, e non d’ altri figliuola, 115
Nouallamente dal capo del padre
Nata, come già Pallade da Gioue.
E perche questa anchor nouella sposa
Non ardisce mostrarsi à la presenza
Di tanti altri signori, e illustri Donne; 120
(Contra lo stil de le tragedie antiche,
Le quai, perche attempate eran matrone
Auuezze nel cospetto de le genti,
Si lasciauan mirar senz’ altra tema)
Per questo anch’ io fuor de l’ antica usanza 125
Con questa parte à uoi uenni (che parte
Non è però de la Tragedia) solo
A trattenerui mentre in lei si strugge
La uirginal uergogna, e uien l’ ardire:
E perche intanto il mio star qui ui gioui. 130
Questa Città, che hauete innanzi gli occhi
E` Battra, il Battro quinci, e quindi l’ Osso
Corre. là i Soddiani, e quà gli Scithi
Confinan. questa è la magion Reale.
Sedete dunque, e le fatiche nostre 135
D’ un cortese silentio almen degnate.
Restauami à spiegarui l’ Argomento.
Ma dapoi, che à spiegarlo esce già l’ ombra,
Che sorta da l’ inferno appar di fuori:
Non darò’ noia à uoi, nè à me fatica: 140

 |ATTO PRIMO, SCENA PRIMA  
OMBRA DI MOLEONTE, MORTE

MOL. Ben ch’ io uolga, e riuolga il uiso à dietro,
Non però ueggio alcun di quei soccorsi,
Ghe Pluton m’ ha promesso, ò ch’ ei m’ inganna,
O` che questi occhi mei già tanto tempo
Non auuezzi à ueder lo splendor grato 5
Di questo ciel, ma à starsi in atra sera
Entro à le folche riue di Cocito,
Il beneficio anchor di questa lume
Non ponno usar, nè riguardar da lungi.
Ma, che figura è questa, che mi segue? 10
A l’ orditura sol di nerbi, e d’ ossa,
Di carne ignude, e di midolla asciutte
(Se non erra il ueder) mi sembra Morte.
E` dessa. Ecco le ferpi, che d’ intorno
Se le uan rauuolgendo horride, & irte. 15
Quella è la curua, inessorabil falce,
(Di ciu sostiene armate ambe le mani)
Che la biada egualmente tutta miete
De le uite, che son supra la terra.
Io, che son morto, à la sua uista oscura 20
Pauento si, che rimorirne temo.
MOR. Re Moleonte, ò più tosto sua ombra,
L’ eterno Imperador de’ Regni nostri
(A` pena giunta da un’ horrenda strage,
Ch’ io feci hiersera d’ huomini, e di Donne) 25
Mandami à te prestissima, e m’ impone,
(Sendo le furie essercitate altroue)
Ch’ io uenga à tuoi comandi ubbidiente.
Comanda hor ciò, che uoi. Vuoi tu, ch’ io meni
A`cerco questa falce, e faccia in breue 30
Scarca restar la Battriana, terra
D’ huomini, e d’ animai? MOL. Cosi non uoglio.
Ma ben’ aprirti la cagione in breue,
Che à lo sdegno mi spinge, e à la uendetta:
Tu sai, che’ l mio fratel giunto al suo fine, 35
Conoscendo Candaule suo figliuolo
Debile al peso di quest’ ampio Regno,
Ch’ ei possedea per esser prima uscito
A la luce di me (cosi ciascuno
Prende la sorte sua dal dì, che nasce) 40
A` me lasciollo, e me ne se signore,
Fin che mi fosse di tenerlo à grado,
O` che’ l fanciullo, in guardia à me rimaso,
Del maneggio real uedessi degno.
Ma il garzone insolente, e ambitioso 45
Non potendo aspettar gli anni douuti,
Onde si maturasse il suo possesso;
Fuggì al re d’ India, che e moglie, e consiglio,
E soccorso li diede, ond’ ei ne uenne
A` spogliarmi del Regno e de la uita. 50
E’ l suo disegno à punto di successe:
Io in tanto padre d’ una figlia sola
(Se figlia m’ è però, ch’ io ne sto in forse)
Per conseruarle e la uita, e l’ honore
(O come spesso il cieco human discorso 55
Per lo migliore il peggio elleger’ usa)
Le prouidi, e tra selue in un palagio
La chiusi in compagnia d’ altre Donzelle,
A` cui fuor, che l’ uscir, non mancasse altro.
Ma s’ inganna quel padre, il quale stima 60
L’ honestà de la figlia intatta, e salua
Per hauerla rinchiusa in grembo à i marmi,
E di ferro, e d’ acciar cinta d’ intorno,
Quando ella in caste uoglie il cor non chiuda.
Candaule entrato in Regno, poco dopo 65
Entrò celatamente in questo albergo,
Ch’ io dico, oue recò la mia figliola
Troppo cortese a’ desiderii suoi.
E ben, che à lei sotto mentito nome,
Fintosi un’ altro, si mostrasse prima, 70
Ella però tener douea diffesa
La rocca del suo honor contra ciascuno.
E quando ei di sforzarla minacciaua,
Rendersi ella douea più tosto cruda
Contra se stessa, che uerso altri molle. 75
O` farlo almen dapoi, ch’ ei le scoperse
La sua uera persona, il nome uero,
Il suo maluagio acquisto, e la mia morte.
Pur’ egli liotamente anchor la gode.
E ben, c’ habbia la moglie in India tolta, 80
Che questo Regno, e queste case stanza,
Ha sposato quest’ altra, e riceuto
N’ ha doppia prole. quel che con la sposa
Propria fin qui non ha potuto mai
Hor contra questa ingrata, infame, infida, 85
Che insieme esser mi uoul Nipote e figlia,
Anzi nè l’ un, nè l’ altro à quel ch’ io veggio,
Contra quel rio homicida, ch’ esser detto
Uoul di chi uccise e genero, e nipote,
Anzì nè quel, ne questo nome ei merta 90
E contra quei mal nati, che potranno
Chiamar la madre loro e madro, e zia,
Vendetta crudelissima apparecchio.
MOR. Com’ esser può, che’ l tuo paterno Amore
In si fier’ odio tramutar si possa? 95
MOL. Sopra ogni padre human la figlia amai.
Ma quanto il succo fu più dolce, tanto
Più acre deuenir suol poi scuente.
MOR. E che ripar uoleui tu, che hauesse
Fatto la incauta, inerme giouanetta 100
A la froda, e à la forza di Candaule?
MOL. Io uolea ch’ ella, poi che’ l tutto seppe,
Facendosi aspe à la pieta materna,
Progne imitasse, ch’ l figliuolo spense
Per lo già spento honor de la sorella. 105
Io uolea ch’ ella, poi che’ l fatto intese,
Serrando fuori il maritale affetto,
Con le figlie di Danao andasse in schiera.
Che non per uendicar, ma per piacere
Al padre sol, la notte ultima, e prima 110
Fecero eterno il sonno de’ mariti.
Io uolea ch’ ella, poi che’ l uero udio,
Aprisse il seno innanzi al crudo fero,
Che aprir le braccia al mio crudel nemico.
MOR. Dimmi, se di duo mogli, che ha Candaule, 115
Fertil’ è tua figliuola, e steril l’ altra;
Se restasser la madre, e i figli uiui
Non porria la tua figlia esser Reina
Ageuolmente, e i tuoi nipoti heredi,
E così hauresti il tuo desir? MOL. L’ haurei. 120
Ma nè Dalida fliglia, nè Candaule
Gener, nè i figli lor nati d’ incesto,
Vo, che nipoti mei chiamin mai.
Nè che persona del mio sangue nata
Sia meretrice. che à Candaule sposa 125
Esser non può, che ha la sua prima moglie
E uiua, e tal, che speme ampia le resta
Di non sempre restar così infeconda,
Ma d’ hauer figli, e i figli hauere il Regno,
E i figliuoli di Dalida per serui. 130
Non uo, che poi de la seconda amica
Satio Candaule, e fastidito, astringa
Dalida infame; e trista à gire errando.
Non uoglio alfin, che’ l giuramento mai
Si spezzi, che non fora sposa mai 135
Dalaida, à mio poter, de l’ impio, ingrato
Candaule, il qual senza pur farmi motto
Venne armato à cacciarmi di quel Regno,
Che’ l saggio padre suo m’ hauea conmesso,
E, ch’ io serbaua a suo diceuoli anni. 140
Non haurà, per Dio Dalida il suo intento.
MOR. E perche tanto indugio à la uendetta?
MOL. Perche Pluton più tosto no’ l consente.
MOR. Hor, che uuoi? MOL. Qui uorrei, che teco insieme
Fosse la dispettosa Gelosia. 145
MOR. Io qui la condurrò (s’ aspetti) hor’ hora.
MOL. Et io ui dirò a l’ hor quel, che disegno.

 

 ATTO I, SCENA ii
 MOLEONTE solo 

Ah figlia, non già mia, ma d’ Acheronte,
Ingrata, dishonesta, ou’ è l’ Amore,
Che à tuo padre monstraui? u’ la pietade 150
Ch’ eri tenuta à i genitori tuoi?
Quello sdegno dou’ è doue quell’ odio,
Che fingeui d’ hauer concetto in tale,
E tanta copia contra il rio Candaule,
Quand’ uccidea le genti nostre, quando 155
Tanto mal minacciaua al nostro capo?
Cotesta è la magnifica uendetta,
Che de’ nemini nostri, empia, tu fai?
Inuece del martiro, e de la morte
Crudel, che à l’ uno, e à l’ altro tuo parente 160
Diedero dando lor gioia, e diletto?
Dando figliuoli chi ti tolse il padre?
Padre facendo chi ti se pupilla?
Così le tue promesse, e le mie leggi
Osserui? Questo il primo fu ricordo 165
Pur, che beuesti si può dir col latte,
Di sempre odiar, sempre abhorrir costui?
Ah maledetta notte, ah tristo letto,
Quando, e doue to fosti ingenerata.
Perche non partorì tua madre il parto, 170
O` di Pasifae, ò di Medusa prima,
Che te figliuola? Ah secchisi la lingua
Mia, che à mia forza pur uuol dirti figlia.
Perche non ti gettai, crudel nemica,
(Che cosi debbo dir) per pasto à i cani, 175
A` i lupi, à gli orsi, com’ Eolo il nipote
Subito, che del uentre uscita fosti?
Di te, Nutrice, uo dolermi, quando
Riscaldasti costei nata nel bagno,
Che non ue la lasciasti affogar dentro, 180
O’ l bagno non facesti del suo sangue.
Anzi di me, che à un drago, à un basilisco
Non la feci allattar, poi, che’ l ueleno
Meritaua di bere anzi, che’ l latte.
E non le fabbricai prima il sepolcro, 185
Che’ l rio palagio d’ ogni mal ricetto.
Ti mancauano forse, ou’ io ti misi,
E generose serue, e adorne stanze,
E cibi delicati, e ricche uesti,
Ogni agio, ogni delitia, ogni diporto, 190
Che desiar, che imaginar potessi?
Ma nè cosi il godrai, come ti credi:
O` moglie mia più de luci amata,
Perche tu anchor dal dispietato abisso
Lieta non esci à lo spettacol grato 195
Del martir, che riscoter m’ apparecchio
Da la nostra ingratissima nemica?
La qual senza mirar lo stretto nodo
Del parentado tra Candaule, e lei,
(Ch’ esser più non porrian se non fratelli) 200
La qual senza pensar con quai supplitii
Ha il fier nipote à studio, à torto offeso
Lo tuo innocente e delicato corpo;
La qual senza mirar, che me suo padre,
Me, che la sua preposi à la mia uita, 205
Ha colui spinto anchor da questa luce
Col più crudo, il più insolito martire,
Che nel pensero human capesse mai;
Anchor consente, anchor seguè, anchor gode
Di lasciarsi abbracciar da quelle braccia, 210
Che mosser l’ armi contra i suoi più cari.
Di lasciarsi toccar da quelle mani,
Che del sangue paterno anchor son calde.
Di far prodiga copia al suo nemico
Di sua persona, e di quel gran thesoro, 215
Che si tardi acquistai, che à lei concessi:
O` casta, e faretrata cacciatrice,
Che fai? perche’ n costei, che al tuo gran nome,
Quando in mezo a’ tuoi boschi la rinchiusi,
Sacrai solennemente; non ispendi 220
Quante al fianco ti pendono saette?
Questa uendetta à te si conueniua.
Ma poi, che tu non degni à si impudico
Sangue bruttar le tue pudiche mani,
Conuerrà, ch’ io la faccia. e non potendo 225
Io stesso farla per esser sol umbra
Senza corpo, e albergar solo in inferno;
(Che quando io fossi uiuo, io stesso, io solo
Le secherei con le mie man la gola,
O` il collo, che la mia crudel nemica 230
Porge à le braccia del nouo marito
Auuolgerei del meritato laccio.
E quella bocca perfida, ch’ ell’ offre
A` i dolci baci del nouello amante
Empirei di mia man d’ acre ueleno) 235
Io non potendo, conuerrà, che troui
Una perfetta, e prouida ministra,
Che uendichi te, Diua, e me, e la madre,
E se medesma. E (s’ io non erro) credo,
Credo, che tal l’ haurò trouata à punto. 245
Dalida, credi pur, sappi pur certo,
Che giunta con la colpa andrà la pena.
Se con l’ amante tuo cenasti hersera
Lieta con tanto scherno del tuo padre,
E de la moglie sua, care uiuande 250
In dilettosa festa; io spero, c’ hoggi
In doglie ad ogni gioia forse eguali,
Sospiri cenerai, lacrime amare.
De le tue facultà desti heri cena
Al tuo marita. E (se’ l penser succede, 255
Che’ l tartareo furor così mi spira)
Hoggi gli la darai de le tue membra.
Vo ben farti per l’ ultima una gratia,
Che sopra ogn’ altra ti fia forse grata.
Dapoi, che tu questa passata notte 260
con supremo desio chiedeui al cielo
Non ti disgiunger dal tuo sposo mai;
Io cura haurò, che questo don riceua,
E le membra con lui congiunga in modo,
Che nel suo corpo stia, nè mai te n’ esca. 265
Bacia i figli, Candaule, mentre hai tempo,
Che non li bacierai più forse uiui.
Tu le figliuole sai priuar di padre,
Edaltri il padre sa priuar di figli.
La donna, che acquistar ti fece il Regno, 270
Ti farà (e sarà il uer) perder la uita.
Horsù, Reina, al tuo consiglio tocca
Far la nostra commune aspra uendetta.
E so, che la farai, quando tu intenda
Con quaei tempre d’ oltraggio il tuo marito 275
Noi parimente, e te scherne, & offende.
Si feroce Leon non ha la Libia,
Si seuaggia non ha Tigre l’ Hircania,
Che col furor del furor giunga al paro
D’ una attizzata, una gelosa donna. 280
Spargi, togliendo à Dalida quel sangue,
Ch’ io d’ hauerle prestato ogni hor mi pento.
Spengi quel mostruoso, horribil seme,
Che giustamente à te douea il marito:
Ma caggian le parole, e appaian l’ opre. 285
Ecco insieme le due preste, & armate,
Di cui tanto ho bisogno, e tanta uoglia. 

ATTO PRIMO, SCENA iii
 MORTE, GELOSIA, MOLEONTE 

MOR Cosi uuol gastigar lui, e la figlia.
GEL. Ho inteso. Ua tu innanzi, io uerrò dietro.
MOR. Perche? GEL. S’ io innanzi andassi, il Re potrebbe 290
Non conoscer me prima. ò tu potresti
Lasciar la falce tua scendermi in capo.
MOR. Gli occhi tuoi pronti, lacrimosi, ardenti,
Le oreccie tue rizzate, il uiso smorto,
Le chiome inculte, e sparse, la ghirlanda 295
Di Giacinto, e di Pin messaui sopra.
Il piè dubbioso, e uario, il corpo macro,
Il tremor, che ti batte i denti, e’ l petto,
Cotesti drappi azurri, in cui t’ auuogli,
L’ angue, che stringi ne la destra, e’ l uaso, 300
Che la sinistra tien, faran, che tosto
L’ accortissimo Re ti riconosca.
Quanto à me, Gelosia, son tal, che senza
Fraude ogni mio violer per forza adempio.
Perche uolti si spesso il uiso indietro? 305
Perce sospiri? GEL. Il pensier forte à forza
Trahe seco gli occhi. io tento (anchor, che’ n uano)
Con questi penetrar fin nel mio albergo.
O´Dio, quando sarà, ch’ io ui ritorni?
MOR. Tosto ti espedirem. ma, che importanza 310
Hai di tornarui? GEL. à riscaldarmi prima.
MOR. In casa sentirai più crudo uerno
Tra le falde perpetue de la neue.
GEL. E poi, perche’ l cor mio dentro à un gran mare
Ondeggia di sospetti. MOR. E di che temi? 315
GEL. Di quel cosi infedel di mio marito.
Che non si sciolga, e se ne uada altroue,
O` ne la propria stanza altri introduca.
MOR. E come si puo scuoter, se constretto
L’ hai già con mille, e più ferrigninodi 320
Sopra il letto di tribuli, di spine,
Ortiche, e chiodi, oue la notte giaci,
E la sua libertà t’ en porti appesa
A la cintura sotto mille chiaui?
Oltra, che quando anchor libero fosse, 325
Doue potrebbe andar sendo si uecchio?
GEL. Che ti parrebbe se l’ inuida Aurora,
O` l’ amorosa madre de gli Amori
Me’ l uenisse à inuolar mentr’ io uo errando?
O` di Gioue la uaga Aquila (come 330
Se’ n portò dianzi il giouanetto d’ Ida)
Se’ n portasse cosi lo sposo mio?
MOR. Come può entrarti in casa Aquila, od altro,
Se prima ogni fissura, ogni spiraglio,
Se anchor le anguste, altissime finistre, 335
Rotte, perche uapori il fume fora
Hai chiuso, e posto sopra i cani tuoi,
Perche uigili stian, gli occhi del lupo?
Ma uedi Moleonte, che n’ aspetta:
Ecco quella, che uuoi, dotta del tutto, 340
Prontissima à seruirti. Altronon resta,
Che spiegar breuemente ilt uo desiro.
GEL. Quanto dice costei, raffermo anch’ io.
MOL. Ambe ringratio, e ad ambe la mercede
Prometto à nome del gran Duce nostro. 345
Hor quel, di ch’ io ti prego, ò Gelosia,
E`, che ti metta in questa real corte.
E perche’ l figlio de la Dea di Gnido
Ha già promesso di adoprarsi in modo
Hoggi col secretario di Candaule, 350
Rifrescandogli al cor le prime piaghe
Con raddoppiati colpi, che lo induca,
E constringa à fornire ogni mal’ opra.
Onde costui le prime pietre ponga
Del fondamento nostro. io poi ti prego, 355
Che à la Riena (quando ne sia tempo)
Lo tuo furor, lo tuo isfrenato sdegno,
L’ empio tuo spirto, il uelenoso fele
Spiri nel petto, e con cotesto serpe,
E con la greue tua gelata mano 360
Le tocchi sotto la mammella manca.
Fa, ò Gelosia, che non le bassi il ferro,
Non le basti il uelen, nè basti il foco
Per satiar la sua gelosa mente
Contra l’ iniquo, adultero consorte, 365
E la figliuola mia sua meretrice,
E quei d’ incesto, e d’ adulterio nati:
Ma, che costei per lo ceruel s’ aggiri,
Di raracrudeltà maniere strane,
E cose tenti insolite, & horrende. 370
Tu, Morte, con lei entra, & empi queta
Corte real de tuoi mortali effetti,
Horribilmente per tutto discorri.
Ciò, che l’ una dispon, l’ altra essequisca.
So, che à chi intende un picciol cenno basta. 375
MOR. Va, che ti loderai de l’ opra nostra.
MOL. Io, poi che da Pluton licenza impetro
Di restar quà disopra almen per hoggi,
Andrò qui intorno consolato errando
Per isbramar la fera e lunga brama, 380
Di uendetta, che l’ alma ogni hor mi rode.
GEL. E noi entriam ne la rea corte. MOR. Entriamo.

 

CHORO

Da noi riuolgi con pietosa mano,
O` supremo Rector de l’ uniuerso,
Questi portenti, e questi augurii tristi: 385
Fa, che nel giardin nostro il mesto piano
Da riui nefandissimi cosperso,
Che al traspor de le piante boggi habbiam uisti
Sorger di sangue, e letal succo misti,
Non dimostri alcun mal, ma sta conuerso 390
In bene, ò (se ciò è troppo) almen sia uano,
O` non sia male, ò sia quinci lontano:
Fa Re del Ciel, che i duo brutti serpenti
Sanguinati la gonfia antica spoglia
Usciti da la terra iui uicina, 395
Che auuiticciati con nodi possenti,
Sibillando da noi presso la soglia
Del letto de la nostra alta Riena
Trouati, e uccisi fur questa matina,
Non diano annuncio di futura doglia. 400
Ma i signor nostri non sian prima spenti,
Che di ulta, e d’ honor fatii, e contenti:
Fa, che alcun danno à la Reina mia
Non habbia minacciato il corbo à l’ hora,
Ch’ egli l’ ha presa col suo curuo rostro, 405
Mentre per lo giardin rindendo gia
Per lo munile, e trattoglielo anchora
Dal collo; e non minaccino alcun mostro
Quegli infernali augei, che’ l tetto nostro
Con uoci dolorose anzi l’ Aurora 410
Sta mane empiano. il tutto, ò stato fia
Prodigio uano, ò si dilegui uia:
Ma il grande Automedon doue rimane
Del chiaro giorno? che quand’ egli uenne
Su’ l Regno nostro, fatto i raggi neri, 415
(Dou’ eran tutti pria puri sta mane)
Arresto il carro, e la sferza rattenne,
E in forse fu, se gli usati senteri
Douea seguire, ò uolgere i destrieri.
Al fin lasciando qui notte, si tenne 420
Più sù col temòn torto, e per uie strane
Andò à scaldar le fredde tramontane:
Che abominoso, e scelerato eccesso
Quì uede’ l Sol, che di mirarne schiua,
Et al settentrion uolta la briglia? 425
Perche la Luna al Sol giunta d’ appresso
Questa notte ecclissata, e à pena uiua,
Di sangue si mostrò tutta uermiglia?
E l’ armato Orion, che si consiglia
Di far con quella spada, onde atterriua 430
Pria le notti del uerno, c’ hor si è messo
Contro Battra à uibrarla così spesso?
O` Gioue, alto, immortale,
O` leua in tutto, ò scema in parte il male.

Atto II